Smascherando i miti sulla storia dell'aborto


Cristián Borgoño, L.C.


Quest'articolo non pretende di raccontare la storia dell'aborto in modo sistematico e rigoroso[1]. Il mio scopo è più modesto. M'interessa unicamente rispondere ad alcuni luoghi comuni sulla storia dell'aborto che si diffondono a macchia d'olio tra i sostenitori della sua legalizzazione, ormai arroccati nei baluardi dell'aborto legale nei paesi occidentali, tra cui, in Italia, i difensori della bontà della legge 194. Spesso questi luoghi comuni vengono pronunciati senza troppa vergogna in apparizioni televisive o in conferenze di divulgazione a modo di giustificazione della legalizzazione dell'aborto[2]. Alcuni compaiono anche in pubblicazioni scientifiche e così si sono incastrati nel retroterra della coscienza collettiva pronti a tornare alla ribalta quasi come spinte da molle permanentemente tese e pronte allo scatto. Buona parte di essi colpiscono l'operato della Chiesa cattolica e in genere il contributo civilizzatore del cristianesimo che viene spesso presentato come sinonimo di arretramento culturale e oscurantismo antiscientifico. In verità, malgrado lo sviluppo della dottrina cattolica, la Chiesa è pressoché l'unica istituzione che si è mantenuta coerente con la sua propria tradizione e con la verità sull'identità del nasciturus, via via svelata dalla scienza. Affronteremo in questo lavoro i quattro luoghi comuni che a mio avviso sono più radicati.

1. Primo luogo comune: L'aborto è stato una realtà sempre presente e tollerata prima dell'avvento del cristianesimo

È un dato di fatto che l'aborto era un fenomeno presente nella società antica urbana, soprattutto quando la società tendeva a valutare negativamente le famiglie numerose[3], e questo sembra sia stato il caso in alcuni periodi della storia antica, specialmente i primi secoli dopo Cristo. L'assenza di una presenza significativa e documentata di altri metodi ipoteticamente efficaci di controllo della popolazione come la astinenza sessuale, l'età di matrimonio, il coitus interruptus, la continenza periodica, i preservativi e l'infanticidio ci portano ad ipotizzare, con Riddle, che soltanto il ricorso all'aborto farmacologico può spiegare il calo della popolazione registrato in questo periodo[4].
Bisogna, però, notare un particolare importante su questa situazione di fatto. La valutazione morale dell'aborto nell'antichità (non nell'era cristiana) era diversa da quella contemporanea, e ciò era dovuto fondamentalmente alla scarse conoscenze di embriologia. Certamente l'animazione immediata non era la credenza più diffusa, infatti le filosofie dominanti dell'epoca, lo stoicismo e l'aristotelismo, ritenevano l'una che la vita umana incominciasse al momento della nascita, l'altra due o tre mesi dopo ciò che noi oggi conosciamo come fertilizzazione. D'altra parte, le donne non erano affatto sicure che il ritardo mestruale fosse dovuto alla gravidanza. Se, come afferma Riddle, l'uso di erbe contraccettive o abortive era frequente, non c'era consapevolezza di starsi procurando un aborto come lo concepiamo oggi, dopo aver appreso quanto l'embriologia ha da dire sull'inizio della vita umana. Non sembra, malgrado tutto, che l'aborto farmacologico sia stato qualcosa di frequente prima dell'età imperiale, probabilmente perche non ce n'era molto bisogno e anche perché i metodi abortivi non si diffondevano troppo in una società prevalentemente rurale. La crescita demografica verificatasi nel primo impero non suggerisce un ricorso massiccio alla contraccezione.
Comunque sia, quale era la valutazione morale di queste pratiche nell'Antichità, visto che l'aborto chirurgico era una rarità per la sua pericolosità? Lo stesso Riddle afferma un po' sbrigativamente che «né la consuetudine, né la legge proteggevano il nascituro oppure il non-concepito»[5]. L'affermazione potrebbe essere condivisa se la nostra analisi si soffermasse, come si fa spesso, alle fonti giuridiche e filosofiche. Ma l'opera monumentale del Nardi, ci ha mostrato come sia necessario estendere l'analisi alle fonti letterarie e religiose che esprimono, forse in un modo più immediato e privo di pregiudizi, il sentire comune della gente.
Una siffatta analisi ci mostra senz'ombra di dubbio una dicotomia evidente tra il pensiero filosofico-giuridico e il sentire comune, compresa la prassi medica, da Ippocrate in poi. Infatti, se il diritto romano si mise in riga con il pensiero stoico che negava l'umanità al feto fino all'epoca tardo antica dove troviamo i primi esempi di legislazione antiabortista, i medici ebbero un forte atteggiamento pro-vita[6], per dirla in termini moderni, e altrettanto le religioni pagane[7] per non parlare dell'ebraismo, assai vicino alla morale cristiana. Da notare è il vincolo percepito dal sentire comune tra l'aborto e la dissolutezza sessuale[8]. Il sentire comune non s'ingannava quando associava strettamente la sessualità alla trasmissione della vita.

2. Secondo luogo comune: La Bibbia non condanna l'aborto

Alcuni esegeti e teologi protestanti sono arrivati ad affermare che la Bibbia offre il sostegno per il dovere di abortire in alcuni casi[9]. Così cercano di presentare la condanna unanime e assoluta dell'aborto da parte della Chiesa come un'invenzione della gerarchia della Chiesa senza sostegno nella parola di Dio. Buona parte della forza dell'argomento, per non dire tutta, si basa nell'assenza di riferimenti espliciti all'aborto nella Bibbia.
Le cose, però, non stanno proprio così e questo può essere mostrato da un'analisi del testo biblico strutturata su tre momenti, indispensabili per capire non solo la lettera ma il messaggio del testo ispirato. Il primo livello è l'analisi del testo, il secondo l'analisi dell'insieme del messaggio biblico sulla vita e finalmente l'impatto culturale del testo canonico nelle comunità che se ne ispirano: ebrei e cristiani.
L'unico testo esplicito sull'aborto nell'Antico Testamento[10] lo troviamo in Es 21, 22-25: «Quando alcuni uomini rissano e urtano una donna incinta, così da farla abortire, se non vi è altra disgrazia, si esigerà un ammenda, secondo quanto imporrà il marito della donna, e il colpevole pagherà attraverso un arbitrato. Ma se segue una disgrazia, allora pagherai vita per vita: occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido»[11].
L'interpretazione di questo testo non è così lineare come suggerisce la traduzione italiana. Di fatto, il testo originale consente tre interpretazioni possibili, tutte e tre sostenute da esegeti importanti e che possono vantarsi di precedenti nella legislazione orientale contemporanea o precedente alla stesura del testo[12] :
1) L'interpretazione rabbinica (ebrea): Considera come omicidio (disgrazia, 'ason in ebreo) unicamente la morte della madre; la morte del feto è naturalmente un danno che reca con sé l'obbligo di riparare, ma non è un omicidio nello stesso senso.
2) L'interpretazione dei LXX[13] : La traduzione greca fatta dagli ebrei alessandrini stabilisce una distinzione tra feto informe e feto formato. Questa tradizione è stata anche recepita dal cristianesimo primitivo come dimostrano le diverse versioni della Vetus Latina[14]. L'esegesi attuale, però, rigetta questa lettura per considerarla condizionata dalla tradizione aristotelica. Non sono poche le fonti anche ebree che seguono questa tradizione come il Talmud Babilonico e anche la tradizione samaritana e caraita[15].
3) L'interpretazione evangelica (protestante): Questa tradizione, che vuole basarsi unicamente sul testo ebreo, è nata nel contesto della Riforma protestante. Rigetta la distinzione propria della tradizione dei LXX, ma, volendo mantenere il rispetto per la vita umana prenatale sostiene che la distinzione sarebbe tra aborto e parto prematuro con esito positivo. Cioè, se viene indotto il parto e il feto nasce morto o non sopravvive, si reputa un omicidio, altrimenti un danno riparabile con una multa. A favore di questa interpretazione troviamo il fatto che la parola ebrea yatsa' (tradotta con “fare abortire” nel testo italiano) si usa solitamente per il parto di un bambino nato vivo, invece per l'aborto si utilizza shokol.
Se andiamo al Nuovo Testamento è di dovere misurarsi con la parola greca pharmakeia che compare sia nella lettera ai Galati (5, 20) che nell'Apocalisse (9, 21; 21, 8 e 22, 15). Alcuni ritengono che la condanna di Paolo e dell'Apocalisse alla pharmakeia sia una condanna all'aborto; lo suggerisce il contesto di condanna della dissolutezza sessuale (benché sarebbe anche compatibile, in senso inclusivo, tradurre pharmakeia con maleficio o uso di altri veleni). Il primo livello d'indagine si è rivelato insufficiente in quanto si tratta di riferimenti non troppo espliciti (Nuovo Testamento) oppure riguardano situazioni eccezionali (Esodo). Prima di dire, però, che la Bibbia non condanni l'aborto bisogna appellarsi agli altri livelli del testo per capire il suo senso. Infatti, come dice Tettamanzi: «...la lettura della Sacra Scrittura chiede che in essa si ricerchino non soltanto i singoli testi che in modo diretto ed esplicito parlano dell'aborto, ma anche e soprattutto i testi che offrono delle linee generali riguardanti l'uomo e la sua vita. Sono questi i metodi secondo cui si può leggere la Bibbia per precisare l'insegnamento sull'aborto...»[16].
A questo livello di analisi complessiva del messaggio biblico troviamo affermazioni nette su alcuni punti molto importanti per capire la dottrina biblica sull'aborto: l'uomo immagine di Dio, basta pensare al racconto della creazione; Dio, Signore della vita come ci ricorda, per esempio, il mandato di rispettare la vita di Caino; lo statuto della vita prenatale nella Bibbia[17] ; il comandamento di non uccidere e, finalmente, il rispetto dei più piccoli. Messi insieme, questi capisaldi della dottrina biblica non sembrano proprio suggerire un atteggiamento permissivo sull'aborto.
Finalmente, un terzo livello, che potremmo chiamare la ricezione della dottrina biblica nella comunità credente, ci dice con chiarezza che l'aborto è stato considerato un crimine sin dall'inizio del cristianesimo[18]. In merito all'ebraismo, possiamo dire che è una cultura dichiaratamente pro-vita, per usare i termini moderni. La fecondità è una delle benedizioni più grandi, sia per una donna che per il popolo nel suo insieme. Non conviene dimenticare che una delle promesse di Dio ad Abramo che stanno alla base della fede biblica è quella della numerosa discendenza. Nella recensione talmudica dei 613 precetti divini, il mandato di crescere e moltiplicarsi si trova al primo posto. Specularmente, la sterilità era una delle peggiori maledizioni possibili, come evidenziano diversi racconti biblici di nascite miracolose (Sara, Rachele, Anna). Addirittura la peggiore oppressione contro il popolo di Israele in Egitto è stato il mandato di buttare al fiume i neonati maschi, come la più grande delle dieci piaghe agli occhi di Israele fu lo sterminio dei primogeniti. Il dramma dell'esilio è anche paragonato alla perdita dei figli (Ger 31,15), testo poi ripreso nel Nuovo Testamento per applicarlo alla strage degli innocenti. Non risulta strano, dunque, che non ci sia nelle Scritture nemmeno un esempio di aborto volontario in Israele.
Possiamo così concludere la nostra indagine affermando che la tesi che nella Bibbia non si trovi una condanna dell'aborto è insostenibile, a meno che la si voglia interpretare come un testo legale, dove unicamente ciò che è esplicitamente vietato è da considerarsi illecito. Non c'è bisogno, mi sembra, di addurre troppe prove per giustificare l'insostenibilità di questa concezione del testo biblico.

3. Terzo luogo comune: La Chiesa ha modificato la sua posizione sull'aborto

L'argomento che di solito si adduce per sostenere questa tesi è l'abolizione della distinzione tra feto formato e feto informe nella disciplina canonica dell'aborto (che comminava la scomunica al reo d'aborto). Infatti, questa distinzione venne tolta da Pio IX nel 1869 tramite la Costituzione Apostolicae Sedis. Conviene notare subito che si tratta di una distinzione presente nel diritto canonico e non costituisce propriamente un'affermazione dottrinale.
Per capire bene le sfumature di questo problema è d'obbligo l'analisi storica del problema. La distinzione si trova già nella filosofia greca, particolarmente nell'influente Aristotele. Infatti, nella Politica[19], nel parlare dell'aborto come mezzo di controllo demografico, lo tollera se il feto non è ancora formato. Infatti, in questo testo, Aristotele ritiene che si possa ricorrere all'aborto soltanto prima di avere “vita e sensibilità”, il che, secondo le sue opere biologiche, si produce con la comparsa del cuore. Conviene notare che in Aristotele la “formazione” del feto equivale alla ricezione dell'anima propria della specie, che ne è la forma sostanziale: nel caso dell'uomo, l'anima razionale. Per questo motivo, la distinzione tra feto formato e feto informe viene di solito interpretata come equivalente alla distinzione tra feto animato e inanimato. Se l'anima razionale è condizione necessaria per parlare di essere umano in senso proprio, allora l'aborto non sarà considerato omicidio fino all'infusione dell'anima razionale, che secondo San Tommaso[20], occorreva al 40º giorno. L'autorità di San Tommaso è tale che perfino l'Istruzione De Abortu Procurato si rifiuta di prendere posizione definitiva sul momento dell'infusione dell'anima, lasciando aperto il dibattito vista la sua natura essenzialmente filosofica[21]. L'Istruzione Donum Vitae del 1987, però, tende a considerare più sicura l'animazione immediata[22] quando afferma: «Certamente nessun dato sperimentale può essere per sé sufficiente a far riconoscere un'anima spirituale; tuttavia le conclusioni della scienza sull'embrione umano forniscono un'indicazione preziosa per discernere razionalmente una presenza personale fin da questo primo comparire di una vita umana: come un individuo umano non sarebbe una persona umana?»[23].
Come venne introdotta questa distinzione nella tradizione cristiana e come fu poi recepita nella tradizione primitiva? La risposta alla prima domanda è assai facile: dalla Bibbia greca dei LXX, perché era il testo dell'Antico Testamento usato dai primi cristiani, in maggioranza di lingua greca anziché ebraica[24]. Si deve notare però, che questa distinzione non fu mai usata nella valutazione morale dell'aborto fino al quarto secolo. Infatti, le testimonianze dei primi tre secoli condannano l'aborto senza distinzioni di alcun genere. In Occidente, Tertulliano è un deciso immediatista. In Oriente, San Basilio reputa la distinzione come una akribologia, cioè, una sottigliezza senza importanza e condanna decisamente ogni forma d'aborto nella sua lettera 188. Da questa lettera prende avvio la legislazione canonica orientale dal Sinodo di Ancira (anno 314) in poi. Saranno poi Gregorio di Nissa e Massimo il Confessore a fornire il fondamento filosofico e teologico dell'animazione immediata, recepita come canonica nella Fede Ortodossa II, 12 di Giovanni Damasceno e poi divenuta fino al giorno d'oggi dottrina indiscussa nella Chiesa orientale.
In Occidente le cose presero una strada alquanto diversa. Infatti, Sant'Agostino, perplesso davanti all'animazione immediata, dato il suo vincolo con il traducianesimo, ipotizzò come soluzione più probabile l'animazione mediata. Infatti, sostiene che «Se dunque quel feto informe si era già avuto, ma ancora in certo modo informemente animato – poiché il gran problema dell'anima non va precipitato con la temerità di un parere non discusso –, perciò la legge non volle che (il caso) attenesse all'omicidio, in quanto non ancora può dirsi viva l'anima in quel corpo che è privo di senso, se pure un'anima ci sia in carne ancora informe, e pertanto non dotata di sensi»[25]. Agostino chiarisce che questa distinzione ha un valore gnoseologico e, per questo, giuridico. Cioè, siccome non possiamo sapere se l'anima ci sia o meno, visto che non si manifesta, allora la certezza del diritto ci impedisce di qualificare l'aborto di feto informe come omicidio.
Questa distinzione si fece strada fino al Decreto di Graziano, come si sa, documento fondante del diritto canonico occidentale, tramite i penitenziali attraverso Ivo de Chartres[26]. Dal Decreto di Graziano venne introdotta nella riflessione degli scolastici, da Pietro Lombardo in poi. San Tommaso, però diede una forte spinta a questa tesi fornendone il fondamento teoretico ispirandosi alla filosofia della generazione aristotelica. Così, tranne per la parentesi di tre anni introdotta da Sisto V nel 1588[27], la distinzione rimase inalterata nel diritto canonico fino al suddetto intervento di Pio IX.
Abbiamo così spiegato la vicenda della distinzione tra feto formato e informe, resta ora da spiegare il rapporto di essa con la valutazione morale dell'aborto. In realtà, la distinzione non intacca la condanna dell'aborto ma unicamente la natura del peccato. Cioè, ogni forma d'aborto è considerata un peccato ma per alcuni soltanto l'aborto di feto formato (animato) è considerato un omicidio. Questa è sostanzialmente la dottrina sull'aborto di San Tommaso d'Aquino e in genere di tutta la tradizione occidentale da Sant'Agostino in poi. L'aborto di feto informe è ritenuto un peccato contro la generazione ma non un omicidio[28]. Nessun teologo cattolico fino alla polemica contemporanea sull'aborto ha mai sostenuto la liceità dell'aborto prima dell'animazione razionale. Per questo motivo ci sembra più che giustificata l'affermazione dell'Istruzione De Abortu Procurato: «Nel corso della storia, i Padri della Chiesa, i suoi Pastori e Dottori hanno insegnato la medesima dottrina, senza che le diverse opinioni circa il momento dell'infusione dell'anima spirituale abbiano introdotto un dubbio sull'illegittimità dell'aborto. Certo, quando nel medioevo era generale l'opinione che l'anima spirituale non fosse presente che dopo le prime settimane, si faceva una differenza nella valutazione del peccato e nella gravità delle sanzioni penali; eccellenti autori hanno ammesso, per questo primo periodo, soluzioni casuistiche più larghe, che respingevano per i periodi seguenti della gravidanza. Ma nessuno ha mai negato che l'aborto procurato, anche in quei primi giorni, fosse oggettivamente una grave colpa»[29].
Questa verità echeggia nell'affermazione di Giovanni Paolo II nell'Evangelium Vitae quando, prima di pronunciare la solenne condanna dell'aborto, ricorda che: «La Tradizione cristiana...è chiara e unanime, dalle origini fino ai nostri giorni, nel qualificare l'aborto come disordine morale particolarmente grave»[30].

4. Quarto luogo comune: È stata la Chiesa a imporre la tutela della vita umana sin dal concepimento

Come abbiamo appena visto, la Chiesa Cattolica di Occidente ha abbandonato solo recentemente la distinzione tra feto formato e informe nella disciplina canonica dell'aborto. Per questo motivo, è stata accusata d'imporre per motivi religiosi il rispetto della vita umana sin dal concepimento. In realtà, la Chiesa semplicemente si è adeguata a ciò che, nell'ambito della scienza, è diventato via via il giudizio unanime degli scienziati.
La biologia che aveva fornito le basi per la riflessione tomista trattata sopra è rimasta invariata fino al Rinascimento. Nel '600, però, il progresso dell'embriologia incominciò a debellare la posizione mediatista associata ad Aristotele e Tommaso grazie alle opere embriologiche di Fienus e Zacchia, strenui difensori dell'immediatismo. Fienus, nella sua opera De Formatione Foetu, fu spinto verso questa conclusione perché le informazioni anatomiche di cui disponeva non sembravano appoggiare la presenza della vis formativa, perché del seme non si trovava traccia già dopo pochi giorni dal rapporto sessuale[31]. La causa efficiente dello sviluppo doveva per forza trovarsi dentro l'embrione e non fuori di esso. Il consolidamento definitivo della teoria dell'animazione immediata arrivò con il trionfo della teoria cellulare e la scoperta della fecondazione[32]. Gli scienziati scoprirono così la prima cellula di ogni organismo da cui si sviluppano tutte le altre per divisione mitotica. All'inizio del '900 è ormai un'affermazione biologica indiscutibile che la vita del nuovo individuo cominci dalla fecondazione.
Alcuni dei moralisti cattolici erano tuttavia ancora restii[33] e si arroccarono sul problema dell'animazione per sostenere la posizione tomista. Avendo in parte ragione e in parte torto consideravano che la vita umana non poteva iniziare senza l'infusione dell'anima razionale e che questa richiedeva un'adatta formazione del corpo per esercitare le proprie facoltà. La loro verità è che l'animazione è un resoconto filosofico dello sviluppo umano e per questo l'evidenza scientifica non basta da sola per fornire la controprova. Il loro torto fu appunto esagerare la distinzione tra scienza e filosofia perdendo di vista l'unità del sapere e, soprattutto l'unità indissolubile tra vita biologica e vita umana. Bisogna ammettere, però, che la filosofia non aveva ancora sviluppato abbastanza gli strumenti necessari per respingere il dualismo, una tentazione che insidia permanentemente la concezione duale (anima et corpore unus) propria del cristianesimo. La filosofia cristiana più recente, facendo leva su una concezione fortemente unitaria dell'essere umano e sullo sviluppo della filosofia della corporeità, non ha problemi a condividere la tesi dell'immediatismo, come fecero sin dall'inizio i padri dell'Oriente cristiano, appoggiati nell'antropologia biblica e nella cristologia.
Per questo motivo, non furono i moralisti né la gerarchia cattolica a spingere verso il rispetto della vita umana sin dalla fecondazione. Furono gli scienziati, in particolare i medici, i principali protagonisti di questa battaglia culturale. La vicenda della disciplina dell'aborto nella tradizione della Commom Law illumina abbastanza bene la vicenda.
La Common Law inglese, di fatto, dal '200 sosteneva che l'aborto di feto animato equivaleva all'omicidio, probabilmente per l'influsso della legge canonica. La tradizione posteriore però si è concentrata più sul momento della percezione del primo movimento fetale (in inglese quickening) che di solito sposta il problema del riconoscimento dello statuto umano verso il 4º mese di gravidanza. Dunque all'inizio dell'800 la situazione nella Common Law inglese era nella pratica questa: l'aborto di feto vivo con la morte susseguente era reputata un omicidio, un grande delitto se succedeva dopo la percezione di movimento e la situazione prima di questo momento era dibattuta. Per alcuni non costituiva nemmeno un reato. Comunque, non per questo era considerato qualcosa di legale o giusto, in quanto poteva costituire la base per un reato associato (come la morte della madre a conseguenza della procedura, ecc). Per questo è insostenibile affermare l'esistenza dell'aborto libero nei paesi della Common Law nel primo '800[34]. È vero, però, che era molto difficile perseguire qualcuno sulla base di questa legge perché era difficile accertare la vera causa della morte del feto e se il quickening fosse avvenuto o meno; ci sono, però, alcune testimonianze di cause per questo motivo[35].
Nel 1803 arriva la prima condanna per legge dell'aborto nella cosiddetta “legge delle sparatorie dolose” (Malicious Shooting Bill), dove veniva condannato, accanto ad altre forme di omicidio. In essa l'aborto dopo il primo movimento fetale era reato capitale, mentre prima veniva punito con il carcere ma non con la pena capitale. L'onere della prova del vincolo causale ricadeva sul reo se veniva dimostrata l'intenzione di abortire (eliminando così le difficoltà a provare l'intento di aborto come causa della morte del feto). Alcuni autori sostengono che questa legge volesse difendere la madre dalle conseguenze di un aborto oppure dalle pressioni per abortire, ma il fatto che si pretendesse anzitutto difendere la vita del nascituro ritengo sia abbastanza ben provato dalla condanna, prevista nella legge, delle donne che abortivano.
La preservazione nella legge della distinzione tra feto formato e informe secondo il criterio del movimento fetale fu aspramente criticata dai medici perché contraria alla teoria scientifica dominante dell'animazione immediata. Infatti, nei medici dell'epoca si riscontrava una forte coscienza pro-vita. Nel 1828 fu modificata questa legge con l'atto Landsowne, poi ancora nel 1837 quando venne abolita sia la distinzione tra feto formato e informe sia l'applicazione della pena capitale per il delitto di aborto commutandola in 3 anni di carcere (per poi, nel 1861, alzarla all'ergastolo). Nel 1927 si chiuse un vuoto giuridico che consentiva l'aborto nel parto. La liberalizzazione dell'aborto in Inghilterra non avvenne fino al 1967.
L'evoluzione negli Stati Uniti fu assai simile con la complicazione aggiuntiva della diversità delle legislazioni statali[36]. Fino al 1820 la legislazione vigente rispecchiava quella inglese. Già nel 1880, caduta previamente la distinzione tra feto formato e informe, era la prassi maggioritaria degli stati che l'aborto restasse proibito dal concepimento. In entrambe le sponde dell'Atlantico, l'influsso dei medici sui legislatori fu decisivo, benché negli Stati Uniti acquisì una dimensione politica molto più rilevante quando nel 1859 la American Medical Association prese posizione chiaramente pro-vita per restringere al massimo la prassi dell'aborto[37] ; infatti, nel tardo '800 gli attivisti pro-vita erano fondamentalmente medici e non cristiani impegnati, né cattolici, né meno ancora protestanti.
Paradossale, apparentemente, è stata la posizione presa dal femminismo primitivo, decisamente pro-vita in quanto vedeva nell'aborto una forma di oppressione maschile perché abbandonava la donna ai rischi, alla colpa e al rimorso dell'aborto. Più ancora, alcune femministe favorivano la castità come il rimedio più efficace all'aborto clandestino[38]. In realtà, le donne si rendevano conto che l'aborto dilagava là dove erano ridotte a oggetto per soddisfare l'appetito sessuale dei maschi.
In sintesi la legislazione proibizionista dell'800 rispondeva a un vasto consenso sociale, non a un'imposizione dei cattolici, nel vedere nell'aborto un'ingiustizia contro la vita nascente sin dal concepimento. L'opposizione alla dottrina tradizionale è un fatto assolutamente inedito nella storia, che compare solo nel '900.

5. Conclusione

Questo breve percorso attraverso le fonti storiche, oltre ad offrire la prova contraria di quanto viene sostenuto dai difensori dell'aborto, ci mostra come sia chiara la percezione di un dato scontato ma di solito trascurato nell'odierna polemica sull'aborto: l'innegabile vincolo tra sessualità e trasmissione della vita. Infatti, le scarse conoscenze scientifiche degli antichi non offuscavano l'elementare percezione che l'aborto interrompe la trasmissione della vita, al di là dello statuto concreto del nascituro nel momento in cui viene praticato l'aborto. Per loro, infatti, l'umanità del nascituro restava sconosciuta o al massimo intuita da premesse religiose, come il messaggio biblico. Nondimeno reputavano l'aborto come qualcosa di riprovevole perché interrompeva la trasmissione della vita.
Questo vincolo tra sessualità e trasmissione della vita tende ad essere oscurato dalla unilaterale tendenza attuale, sconosciuta in precedenza, ad affrontare il problema dell'aborto come un problema di libertà di scelta o di libertà riproduttiva della donna. Certo, l'uso diffuso degli anticoncezionali rende più fattibile il mantenere disgiunte entrambe le problematiche. In realtà, però, nella stragrande maggioranza dei casi, l'aborto non è altro che la conseguenza di una fallita contraccezione oppure è esso stesso usato come mezzo di controllo delle nascite. Infatti, l'unico modo di preservare la libertà di scelta della donna è consentirle anche di disfarsi del frutto del concepimento se la contraccezione è fallita, se è stata dimenticata o se rifiutata a priori a favore del ricorso all'aborto per diversi motivi. Il vincolo tra contraccezione e aborto, sottolineato profeticamente dal Magistero della Chiesa[39] non è soltanto un dato di fatto, dimostrato dagli studi scientifici[40], ma anzitutto un vincolo strutturale, antropologico, perché nasce da una concezione della libertà umana totalmente sradicata dalla responsabilità per affermare come valore assoluto il rispetto della scelta individuale. Così non solo il separare la sessualità dalla procreazione diventa una scelta da tutelare ma anche lo scegliere se rispettare o meno la vita del concepito, sicuramente non desiderata o non pianificata, ma non per questo meno reale e da rispettare. Dunque, l'aborto come omicidio non è altro che il sacrificio della vita umana sull'altare della libertà di scelta, al di là dell'interesse sullo statuto della vita umana prenatale, anticamente ignoto, oggi volutamente ignorato in quanto irrilevante davanti al dominio della donna sul proprio corpo.
In realtà ciascuno dei “miti” esaminati, cerca appunto di circoscrivere il problema dell'aborto alla tutela della vita umana senza metterlo in rapporto con il suo contesto naturale: la generazione umana. Si vuole così mascherare e rendere scontata la disgiunzione tra sessualità e procreazione che sta alla base della mentalità abortiva ed è forse il suo propellente fondamentale. La tragedia dell'aborto è senz'altro strettamente legata al fatto che viene soppressa la vita umana nascente, ma a questa scelta non si arriva per caso, ma perché prima si è ridotta la sessualità alla sua pura dimensione edonistica e ludica come se fosse unicamente l'esercizio di una potenza puramente biologica. Non ci può essere tutela della vita, che deve essere concepita come dono e non come produzione, dove non è rispettato il vincolo tra sessualità e amore.



Note

[1] A questo scopo si possono leggere con profitto: P. Sardi, L'aborto ieri ed oggi, Paideia, Brescia 1975; J. Connery, Abortion: The development of the Roman Catholic perspective, Loyola University Press, Chicago 1977 e la più sintetica G. Galeotti, Storia dell'aborto. I molti protagonisti e interessi di una lunga vicenda, Il Mulino, Bologna 2003.
[2] La recente affermazione della Speaker della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, è l'esempio più recente di un fenomeno che stenta a scomparire. La Pelosi ha affermato sostanzialmente che, lungo la storia, nella Chiesa cattolica ci sono state diverse posizioni nei riguardi dell'aborto.
[3] Come afferma giustamente Riddle, «i demografi affermano, senza troppa originalità, che se la società valorizza la famiglia numerosa, allora le famiglie lo saranno; se, invece, si desidera una famiglia piccola, l'intervento umano, determina una decelerazione demografica o addirittura una diminuzione della popolazione»; J. Riddle, Contraception and abortion from the ancient world to the Renaissance, Harvard University Press, Cambridge 1992, 1. È ovvio annotare che nel passato, i fattori indiretti quali guerre, epidemie e un alto tasso di mortalità infantile erano quantitativamente molto più importanti che le decisioni dei singoli, ma è anche vero che in condizioni normali di pace e stabilità economica la popolazione tende a crescere.
[4] Cf. Ibidem, 1-15. Si deve considerare che l'aborto meccanico, benché esistesse, era assai più rischioso.
[5] Cf. J. Riddle, Eve's herbs. A history of contraception and abortion in the West, Harvard University Press, Cambridge 1997, 23.
[6] È vero che il giuramento d'Ippocrate non rappresenta il pensiero di tutte le scuole mediche dell'Antichità, ma è altrettanto vero l'influsso, documentato nelle fonti, specialmente Sorano e Scribonio Largo, sulle scuole posteriori.
[7] Lo si evince dalle iscrizioni ritrovate nei templi pagani. Cf. E. Nardi, «L'eredità del mondo antico in tema di aborto», in Medicina e Morale 2 (1974), 163.
[8] Cf. Ovidio e Giovenale. Basta vedere questa citazione di Giovenale: «nei letti dorati difficilmente giace qualche puerpera. Tanto posson le tecniche e tanto i rimedi di colei che rende sterili e a pagamento s'assume di uccider gli uomini nell'utero. Godi, infelice, e porgi tu stesso da bere quel che sarà; se volesse infatti aver l'utero dilatato e travagliato dai rivolgimenti dei figli, ti troveresti forse padre di un negretto;...», Satira VI, vv. 592-600.
[9] Cf. A. Berlendis, «Dalle testimonianze della storia (Patristica, canonici) i criteri per affrontare, nella fede cristiana, il dibattito odierno», in Ricerche bibliche e religiose 10/3 (1975), 100.
[10] Lasciamo da parte Gen 9, 6 che gli esegeti più avvertiti non considerano riguardi l'aborto. A seconda del significato attribuito alla preposizione ebraica be si può leggere come una condanna dell' omicidio semplice o dell'aborto: si potrebbe parlare di sangue versato dall'uomo (omicidio) o nell'uomo (aborto). La tradizione ebraica posteriore (talmudica) accetta entrambe le interpretazioni e così è stato di fatto. Comunque, c'è consenso che i destinatari della proibizione, ammesso che si tratti della proibizione dell'aborto, sarebbero i gentili (figli di Noè) e non gli israeliti. Dall'altro canto, i cristiani che seguivano la Bibbia dei LXX ne facevano la lettura in termini di omicidio perche nel greco non c'è spazio per la doppia interpretazione e così la rendono anche le versioni moderne della Bibbia (Cf. Bibbia di Gerusalemme).
[11] Viene qui riportata la traduzione italiana della Bibbia della CEI basata sul testo ebreo.
[12] Cf. S. D. Ricks, Abortion in antiquity, in AA.VV., Anchor Bible Dictionary, vol. I, Doubleday, Nueva York 1992, 31-35.
[13] La Bibbia dei LXX è la traduzione greca dei libri della Bibbia ebraica fatta attorno al III secolo a.C. da rabbini di Alessandria d'Egitto. Era il testo usato dalla sinagoga della Diaspora.
[14] Vetus Latina è la denominazione comune delle diverse traduzioni latine della Bibbia, precedenti a quella di San Girolamo (Volgata), fatte a partire del testo greco dei LXX.
[15] Cf. D. M. Feldman, Birth control in Jewish law. Marital relations, contraception and abortion as set forth in the classic texts of Jewish law, New York University Press, New York 1968, 240.
[16] Cf. D. Tettamanzi, Comunità cristiana e aborto, Paoline, Bari 1975, 82.
[17] Tra i tanti passi si possono ricordare Sal 139, 16; Ger 1,5; Is 49, 5; Gb 10, 18, ecc.
[18] La prima testimonianza cristiana indiscussa al riguardo dell'aborto - abbinata alla condanna dell'infanticidio - la troviamo nella Didaché II, 2 (100 circa): «non farai perire il bambino (tekhnon) con l'aborto (phtora) né l'ucciderai dopo che è nato». Sulla stessa scia la lettera dello Pseudobarnaba 19, 5 (130-150). Così anche l'apologeta Atenagora (176-180) nella sua Apologia pro christianis 35, 6 dove rigetta l'accusa di infanticidio nei confronti dei cristiani, appellandosi alla condanna che essi fanno dell'aborto, che viene chiamato omicidio. Negli scritti di Ippolito romano troviamo testimonianze delle penitenze pubbliche che dovevano espiare i rei d'aborto, alla pari degli omicidi. Tertulliano afferma chiaramente nell'Apologetico 9,8 che «uomo è anche colui che lo sarà, così come tutto il frutto è già nel seme». Si trovano parecchie condanne anche in altri testi, dove si fa anche il parallelismo tra aborto e omicidio. In Minucio Felice (Octavius, 30, 2) troviamo il qualificativo di parricidio rivolto all'aborto.
[19] Aristotele, Politica, VII, 14 1335 b25.
[20] San Tommaso si rifà a Aristotele, come gli altri pensatori cristiani. Il passo dello stagirita in questione si trova nelle Ricerche sugli animali, 583b 3-5;15-23. Facciamo il riferimento a San Tommaso perché fu la posizione più autorevole della tradizione cristiana dopo la Scolastica. I passi più famosi dove troviamo la dottrina dell'Aquinate sulla generazione sono: Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, II d.18, q.2, a.3; Questiones Disputatae De Potentia q.3, a.9; Summa contra Gentes II, c. 86-89; Summa Theologiae I, q. 118, a.1 e 2.
[21] «Questa Dichiarazione lascia espressamente da parte la questione circa il momento della infusione dell'anima spirituale. Non c'è su tale punto tradizione unanime e gli autori sono ancora divisi. Per alcuni, essa ha inizio fin dal primo istante; per altri, essa non può precedere almeno l'annidamento. Non spetta alla scienza di prendere posizione, perché l'esistenza di un'anima immortale non appartiene al suo campo», Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Declaratio De Abortu Procurato, AAS 66 (1974), 744, nota 19.
[22] Cf. P. Caspar, Le statut de l'embryon humain dans Donum Vitae, in « Revue Thomiste» XCIII (1993), 601-604.
[23] Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Instructio de observantia erga vitam humanam nascentem deque procreationis dignitate tuenda. Responsiones ad quasdam quaestiones nostris temporibus agitatas, AAS 80 (1988), 80.
[24] Come abbiamo già detto sopra, la cristianità latina conobbe l'Antico Testamento, fino alla Vulgata di San Girolamo, dalla Vetus Latina, traduzione latina della Bibbia greca dei LXX.
[25] Sant'Agostino, Quaestiones in heptateucum 2, 80 (traduzione italiana di L. Carrozzi, Opere di S. Agostino, Città Nuova, Roma 1997, 665).
[26] Nei tariffari penitenziali dell'epoca appare la distinzione tra feto informe e formato, con penitenze diverse. La distinzione entra nelle raccolte canoniche, infatti, tramite Ivo di Chartres, che aggiunge testi patristici alle leggi conciliari. In un testo di Agostino e un altro di Girolamo (tra altri di autorità minore) si accenna alla distinzione tra feto informe e formato. Questi testi sono poi stati raccolti nel decreto di Graziano.
[27] Nella Costituzione Effraenatam (1588), Sisto V abolì la distinzione tra feto formato e informe e comminava anche la scomunica per la sterilizzazione e la contraccezione.
[28] Un resoconto sintetico della valutazione morale dell'aborto si può trovare in M. Zalba, Il problema dell'aborto nella tradizione morale cattolica, in «Rassegna di Teologia» 13/6 (1972), 369-388.
[29] Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Declaratio De Abortu Procurato, AAS 66 (1974), n. 7, 742.
[30] Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, AAS 87 (1995), n. 61, 480.
[31] La biologia dell'epoca riteneva che il concepimento si verificava per l'influsso del seme maschile sul menstruo femminile, in cui agiva tramite la cosiddetta vis formativa.
[32] La fecondazione fu osservata per prima volta da Wilhelm Hertwig nel 1875. La teoria cellulare era già stata formulata nel 1838 per Schleiden e Schwann.
[33] Si può considerare l'opera di A. Lanza, La questione del momento in cui l'anima razionale è infusa nel corpo, Pontificio Ateneo Lateranense, Roma 1939, come l'opera più emblematica al riguardo.
[34] Cf. J. Keown, Abortion, doctors and the law. Some aspects of the legal regulation of abortion in England from 1803 to 1982, Cambridge University Press, Cambridge 1988, 11.
[35]Ibidem, 1-11.
[36] Per un resoconto dettagliato cf. J. C. Mohr, Abortion in America. The origins and evolution of national policy, Oxford University Press, Nova York 1978.
[37] Cf. Ibidem, 147-170.
[38] Cf. D. A. Jones, The soul of the embryo. An enquiry into the status of the human embryo in the Christian tradition, Continuum, Londres 2004, 202.
[39] Nel modo più solenne da Giovanni Paolo II al n. 13 dell'enciclica Evangelium Vitae. Per un'analisi del vincolo tra mentalità contraccettiva e aborto si veda G. Kaszak, «Mentalità contraccettiva» in Pontificio Consiglio per la Famiglia (a cura di), Lexicon. Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche, EDB, Bologna, 2003, 599-604.
[40] La stragrande maggioranza degli studi recenti hanno mostrato che la diffusione della contraccezione di emergenza non riduce il tasso di aborti. A modo di esempio si può citare il recentissimo articolo di W. Pedersen, Emergency contraception: why the absent effect on abortion rates? in Acta Obstetrica Gynaecologica Scandinavica 87/3 (2008), 258-259. Per un resoconto dettagliato di questo fatto si veda R. Puccetti, L'uomo indesiderato. Dalla pillola di Pincus alla RU-486, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2008, 51-64.