Società, amici, stranieri e bioetica. Riflessioni a margine della «bioetica pubblica» di H.T. Engelhardt
Fernando Pascual, L.C.
Il pluralismo in bioetica riflette il pluralismo oggi molto presente in alcune culture di fronte a temi essenziali per la società: la vita e la morte, la dignità dell'uomo e il trattamento che meritano altri esseri viventi, la salute e la malattia, i modi di gestire le risorse in medicina...
Hugo Tristram Engelhardt, noto professore nell'ambito della bioetica, enumera, nelle sue opere, alcune tematiche attraverso le quali evidenzia la conflittualità fra diverse posizioni in ambito bioetico. In un volume relativamente recente Engelhardt segnala diversi argomenti oggetto del dibattito attuale: gli atti omosessuali e il «matrimonio» omosessuale, l'aborto, l'approccio socialdemocratico sull'allocazione delle risorse, il suicidio assistito, l'eutanasia, la pena di morte. Ci sono continue discussioni sul significato della sessualità umana, sulla riproduzione, sul diritto di proprietà, sui limiti dell'autorità, sulla sofferenza, sulla morte e sul morire, sulla natura del bene umano.
La divergenza delle risposte date a queste e ad altre tematiche sarebbe tale da chiudere ogni strada che permetta di trovare argomenti razionali in grado di convincere chi pensa diversamente, perché non si condividono quei presupposti (sulla morale, sulla metafisica) che sono alla base di ognuna delle posizioni divergenti. In altre parole, secondo Engelhardt non ci sono argomenti razionali per molte delle tematiche più dibattute in bioetica[1].
Un'osservazione attenta ci fa scoprire nell'elenco precedente la predominanza di argomenti specialmente presenti nell'ambito dei paesi del mondo occidentale, dove una lunga tradizione storica ha tentato e tenta di costruire la società in base alle scelte individuali e secondo una visione antropologica alle volte insufficiente. Va ricordato che gli sforzi più recenti per costruire società liberali (oppure «libertarie») vengono da gruppi ideologici ben definiti e con importanti strumenti di pressione a molti livelli, il che ha portato al «trionfo» culturale di idee che 50 anni fa erano considerate in modo molto negativo dalla morale individuale e pubblica.
Il pluralismo nel mondo occidentale può essere spiegato in molti modi e con riflessioni filosofiche perfino contrapposte. Per Engelhardt, invece, la divergenza di posizioni sarebbe «perenne», protratta per più di due millenni (un'affermazione tutt'altro che condivisibile); e non sarebbe «contingente», perché troverebbe la sua origine nella diversità di premesse con le quali si elaborano i giudizi etici nei diversi ambiti di applicazione. In una situazione come questa non ci sarebbero strade di uscita[2]. Così, il mondo moderno non sarebbe in grado di trovare né un cammino razionale né una convergenza delle persone basata sulla conversione e sull'accettazione di un'autorità comune (religiosa o di altro tipo).
Accanto alla diversità di posizioni esiste una richiesta forte, perfino appassionata, di arrivare ad un consenso morale. Tale richiesta avrebbe dato origine, per esempio, alla Dichiarazione Universale di Bioetica e Diritti Umani, approvata dall'UNESCO nel 2005. Questo documento, tuttavia, sarebbe caratterizzato dalla vacuità generale dei suoi principi e dall'assenza di qualsiasi allusione agli argomenti centrali nelle discussioni di bioetica (aborto, eutanasia, ecc.)[3].
Di fronte a questa situazione non resterebbe che, secondo Engelhardt, postulare una radicale separazione fra la morale sostanziale, propria di una comunità particolare e scelta liberamente dai i suoi membri, e la morale laica «pubblica», cioè, quella morale in grado di vincolare fra di loro individui e comunità che hanno diverse posizioni etiche (e bioetiche), proprio perché tale morale laica non avrebbe dei contenuti da imporre a tutti, ma semplicemente offrirebbe la struttura minima di regole capace di permettere la coesistenza in società di persone con idee diverse.
Tale soluzione implica, dunque, assumere un modo di convivenza dove l'ambito pubblico sia svuotato da qualsiasi morale sostanziale, tramite una doppia «limitazione»: limitazione della ragione, e limitazione dell'autorità. In questa situazione, ognuno potrebbe perseguire la propria idea di bene (anche quando tale idea fosse sbagliata e, perfino, dannosa per l'individuo che sceglie un determinato modo di agire), sempre che siano evitati gli atti che implichino andare contro la libera autonomia di altre «persone», contro ciò che gli altri decidono di fare oppure di non fare. Si potrebbe vivere, allora, come in un «mercato», dove «ognuno»[4] potrebbe perseguire, in modo libertario, la propria idea di bene convivendo pacificamente con persone che non la condividono e che perseguono altre idee di bene[5].
In questa situazione, e dato come certo il «fatto» che non abbiamo argomenti razionali per costruire una morale valida per tutti, possiamo metterci insieme per arrivare ad un consenso, un accordo, che ci permetta di collaborare nella vita sociale, senza dover per questo accettare i principi e le idee di coloro che hanno un punto di vista diverso dal proprio; allo stesso tempo, ogni comunità particolare potrebbe avere le proprie regole e perfino i propri sistemi sanitari, in perfetta sintonia con i principi accettati dai suoi membri[6]. Sarebbe sufficiente, per la società come insieme, un'etica laica generale, abbastanza vuota per garantire il pluralismo, e con un minimo di regole in grado di evitare ogni forma di violenza, e in grado di promuovere un modo accettabile di convivenza e di collaborazione[7].
Diventa necessario affrontare una domanda centrale: è possibile, attraverso i limiti della ragione e dell'autorità, costruire una società dove persone di diverse idee etiche (che sarebbero fra loro «stranieri morali», secondo la terminologia di Engelhardt)[8] possano convivere pacificamente senza dover condividere contenuti sostanziali?
In cammino verso la risposta, possiamo partire da questo dato: ogni essere umano entra a far parte nella vita sociale attraverso un dialogo fra le proprie convinzioni personali e quelle regole che permettono la convivenza fra le persone. Tali regole sono accettate in quanto ognuno le vede in armonia con la propria moralità personale. Per esempio, è un principio di moralità personale, sebbene molto criticabile, pensare che sia lecito e giusto rinunciare ad altri principi etici considerati come validi, se con questo sia possibile guadagnare dei favori (oppure evitare delle minacce) di altre persone con le quali si convive. Cioè, chi vive come un camaleonte, che sa cambiare colore e «convinzioni» secondo la situazione nella quale si trova, ha un principio di moralità soggettiva, vive secondo un'idea etica particolare, la cui scorrettezza risulta palese.
Le convinzioni personali che permettono di entrare in una concreta comunità morale (in un gruppo di «amici morali» che condividono la propria visione etica), sono anche quelle che permettono di accogliere i criteri di convivenza sociale, cominciando con i criteri del rispetto dell'altro e della fedeltà agli impegni assunti, e diventano così la base per l'esistenza e la funzionalità di ogni struttura sociale.
Per questo risulta forzato e arbitrario parlare di un'etica (e di una bioetica) laica generale «senza contenuti», come se tale etica fosse in grado di vincolare fra loro stranieri morali, quando in realtà gli uomini entrano a vivere in società grazie alle convinzioni profonde delle visioni etiche (e bioetiche) sostanziali (particolari). Molte di queste convinzioni (non tutte) sono in grado di promuovere società dove la convivenza pacifica diventa una realtà fruttifera.
Contrariamente a ciò che dice Engelhardt, il fatto di trovare persone che pensano in modi diversi, che sono «stranieri morali» nei confronti di alcuni dei nostri principi, non implica dover elaborare per l'ambito sociale un insieme molto debole di regole di una morale laica generale per evitare la violenza e i tentativi di imporre il proprio punto di vista a chi pensa diversamente[9], perché rispettare l'altro ed evitare violenze non è il risultato di una eterea e vuota morale laica generale: il rispetto nasce dai contenuti delle morali particolari accolte dagli esseri umani che compongono la società, che diventano in molti casi contenuti validi e giusti, in grado di regolare secondo giustizia la vita pubblica.
Si può elaborare un'ulteriore riflessione critica alle proposte di Engelhardt. Come abbiamo visto, secondo lui le persone dovrebbero autoimporsi un doppio limite (della ragione, dell'autorità) per poter formar parte di una società pluralistica. Tale idea solo è accettabile e proponibile all'interno di un'idea di bene sostanziale, che può essere accolta per motivi razionali, cioè, senza porre nessun limite alla ragione. Solo tramite la razionalità ognuno assume una visione etica concreta, attraverso la quale ritiene perseguibili in modo etico certi beni e dichiara immorali la persecuzioni di altri «beni» (cioè, di quelle realtà che possono dare soddisfazione ad alcuni desideri, ma che implicano un disordine morale che va sia contro chi agisce sia, in molti casi, contro altri esseri umani che soffrono dei danni a causa di tali atti); e solo tramite la stessa razionalità ognuno è in grado di lavorare per una vita etica buona e per una convivenza sociale basata sull'idea concreta (cioè, su un contenuto) di giustizia.
Attraverso la razionalità morale ognuno può riconoscere l'altro (qualsiasi uomo oppure donna, qualsiasi essere umano in ogni tappa della sua vita), attraverso la propria visione etica sostanziale, come un soggetto degno di rispetto[10]. Dall'altra parte, permette la decisione di collaborare con altri esseri umani (in progetti che siano visti da entrambi come buoni). Vediamo brevemente queste due dimensioni.
La prima consiste nel riconoscere l'altro come degno di rispetto, cioè, come un essere che vale per se stesso, che non può essere considerato semplicemente secondo scopi utilitaristici e provvisori. Fuori da tale riconoscimento, che può avere un fondamento più o meno razionale, esplicito oppure implicito, risulta impossibile arrivare a forme pacifiche di convivenza. Le forme pacifiche dipendono, dunque, da idee «sostanziali» sul valore dell'altro, e non da un'arbitraria e vuota morale laica generale come quella escogitata, senza fondamenti validi, da Engelhardt.
La seconda consiste nel metterci insieme per collaborare nella realizzazioni di progetti, nel vivere come membri di un gruppo sociale (naturale oppure più complesso e articolato). Può capitare, certamente, che i ragionamenti con i quali diverse persone arrivano a considerare «buono» un progetto siano differenti, perfino opposti. Comunque, in questi casi continua ad essere vero che solo l'impegno per realizzare il bene, secondo visioni sostanziali, permette la collaborazione, accoglie l'idea di un'autorità per la convivenza sociale, e accetta certe regole di non interferenza (un termine che piace ad Engelhardt) in certi ambiti, ma non in altri.
Occorre aggiungere che l'etica e la bioetica morale laica di Engelhardt non possono non possedere, malgrado tutti gli sforzi argomentativi dell'Autore, dei contenuti; o, contro ciò che lui stesso afferma, non sono una specie di meta-moralità che si colloca in un livello diverso dalle etiche particolari[11]. Fra i tanti contenuti che difende Engelhardt, possiamo ricordare i seguenti: il criterio di non usare la forza contro le persone senza il loro permesso; il rispetto dei patti; la validità dei principi del permesso e della beneficenza (sottomettendo, a ragione di alcuni motivi contenutistici di Engelhardt, il secondo principio al primo). Allo stesso tempo, elabora una visione antropologica arbitraria (basata su alcune caratteristiche scelte secondo una visione sostanziale implicita) nella quale diventa possibile distinguere fra persone in senso stretto e altri esseri umani sottovalutati nei loro diritti, il che va contro elementi centrali della Dichiarazione Universale dei diritti umani (1948) e contro la Dichiarazione dei diritti dei bambini (1959). Tutto questo diventa possibile, lo ripetiamo, solo tramite un uso ideologico e arbitrario di una serie di principi contenutistici (e privati) che servono per elaborare un'analisi molto discutibile sulla situazione attuale del pluralismo in bioetica.
Nessun sistema sociale può esistere senza condividere, per motivi razionali o in altri modi (se esistano)[12], un minimo di contenuti etici. Non c'è società, non c'è stato, senza una morale sostanziale di base, la quale, certamente, non sarà condivisa da tutti (sempre esisteranno oppositori, alcuni pacifici, altri violenti); ma questo non toglie il diritto di chi detiene, legittimamente, il potere di agire contro ogni individuo che violi i diritti basilari (e sostanziali) di altri esseri umani, fra i quali non possiamo escludere il diritto fondamentale alla vita (dal concepimento alla morte naturale), e contro coloro che agiscano danneggiando l'ordine pubblico e la convivenza fra i diversi membri della società.
La proposta di Engelhardt risulta essere, allora, inutile e basata su una curiosa schizofrenia intellettuale. Alla fine della sua opera più famosa, il nostro Autore afferma che noi «siamo costretti a vivere la nostra vita all'interno di due dimensioni della moralità»: la prima è quella propria di una concreta comunità morale; l'altra quella della morale laica pluralistica che ci permette di convivere con persone appartenenti a comunità morali diverse della propria[13]. In realtà, nell'ambito pubblico esiste un insieme di regole e di divieti senza i quali è impossibile la convivenza, e tali regole e divieti valgono solo nella misura in cui hanno una certa razionalità e sono «sostanziali», e così possono essere accettati, come contenuti, dagli individui, i quali pensano sempre la propria moralità in un'unica dimensione, non in due.
Non è possibile, invece, costruire nessun sistema politico che sfugga alla deriva nichilista nella quale si cade (malgrado tutti gli sforzi di Engelhardt per dire l'opposto) fuori dell'accettazione di qualche razionalità morale e di alcuni contenuti visti come fondamentali per la convivenza sociale, e «presentabili» e «dimostrabili» con argomenti razionali nel dialogo che si stabilisce fra gli individui e fra i gruppi che compongono le nostre società pluralistiche.
La «bioetica pubblica» di Engelhardt ha l'interesse che può avere un'opera umana piena di argomenti e di riflessioni che mostrano un grande acume intellettuale ed errori gravi che forse l'Autore non ha potuto intravedere. Al di là del suo sforzo, secondo me fallimentare, per uscire dal nichilismo, non resta che continuare un lavoro urgente da parte di chi, fra gli uomini e le donne che vogliono superare le enormi ingiustizie (cominciando da quella dell'aborto) nel mondo moderno, vuole usare la nostra comune razionalità nella ricerca della bontà e della giustizia che sono necessarie per costruire società capaci di rispettare, difendere e assistere la vita di ogni essere umano.
Note
[1] Cf. H.T. Engelhardt, Jr., Global Bioethics: An Introduction to the Collapse of Consensus, and Id., The Search for a Global Morality: Bioethics, the Culture Wars, and Moral Diversity, in H.T. Engelhardt, Jr. (ed.), Global Bioethics. The Collapse of Consensus, M & M Scrivener Press, Salem 2006, 2, 15, 18-19, 35-38 (con un elenco delle diverse posizioni possibili di fronte al pluralismo morale). In queste pagine Engelhardt ripropone idee esposte in una, forse la più importante, delle sue opere: H.T. Engelhardt, Jr., Manuale di bioetica, traduzione dall'inglese The Foundations of Bioethics (1996[2]) di Stefano Rini, Il Saggiatore, Milano 1999.
[2] Cf. H.T. Engelhardt, Jr., Global Bioethics..., 2-3, 15-16.
[3] Cf. H.T. Engelhardt, Jr., Global Bioethics..., 3-4, 6-7; Id., The Search..., 19.
[4] Occorre aver presente che solo entrano a pieno titolo nel mercato di Engelhardt quegli esseri umani che abbiano capacità di vivere in modo autonomo, consapevole, responsabile, mentre sono «esclusi» gli altri esseri umani (considerati come non persone o come meno persone), in una scelta che troviamo arbitraria e basata su premesse contenutistiche che meritano di essere profondamente discusse e superate... Cf. H.T. Engelhardt, Jr., Manuale di bioetica, 155-178.
[5] Cf. H.T. Engelhardt, Jr., Global Bioethics..., 7-8; Id., The Search..., 22-23, 25, 27, 40-41.
[6] Cf. H.T. Engelhardt, Jr., Global Bioethics..., 16-17; Id., The Search..., 39-40.
[7] H.T. Engelhardt, Jr., Manuale di bioetica, 106-154.
[8] Cf. H.T. Engelhardt, Jr., Manuale di bioetica, 41-52, 440-441.
[9] Questo sarebbe uno dei punti centrali del nostro Autore, ripetuto in diversi modi e contesti. Per evocarne uno, basta con leggere questa frase nell'ultima pagina della sua opera più importante: «poiché la nostra comunità non comprende tutti, ci tocca entrare in contatto con gli altri nel rispetto dei vincoli di una morale laica pluralistica» (H.T. Engelhardt, Jr., Manuale di bioetica, 441).
[10] Purtroppo, ci sono visioni «etiche» che non sono in grado di arrivare alla verità, che sono promotrici d'ingiustizie e di disordini nella vita sociale, come quando si arriva a considerare un «diritto» la possibilità di uccidere il proprio figlio nel grembo materno.
[11] Cf. H.T. Engelhardt, The Search..., 25.
[12] Non è facile definire cosa sia la razionalità, né come possano darsi nell'uomo comportamenti umani consapevoli e liberi privi di razionalità. In ogni attività mentale, in ogni rapporto interumano, sono sempre presenti, in modi più o meno espliciti, forme di razionalità che permettono di rispondere alla domanda rivoltaci da un'altro oppure da noi stessi: perché l'hai fatto?
[13] H.T. Engelhardt, Jr., Manuale di bioetica, 441.