L'attività dei Centri di Aiuto alla Vita in Italia
Diego Cremona
Nasce da un'idea semplice il Movimento per la Vita italiano (MpV). Semplice e fondativa. L'idea è il primato dell'uomo: l'uomo è fine, mai mezzo. Idea efficacemente formulata da Kant ma, in nuce, cristiana.
Nei primi anni settanta quell'idea parve ad alcuni vacillare. Sotto la pressione di forti suggestioni di carattere sociale, ideologico, la dignità dell'uomo sembrava essere sempre più asservita.
Un progetto culturale complesso (potremmo forse dire confuso), un mixtum di riscatto sociale e di edonismo, di utilitarismo e di consumismo, di solidarismo e autodeterminismo, di libertarismo e libertinismo, aveva già pesantemente scosso il vecchio ordine sociale. In specie, l'istituto della famiglia. E in modo logico, conseguente, si apprestava a tracimare sul tema dell'accoglienza della vita.
Corre l'anno 1975 quando a Firenze scocca la prima scintilla di quello che di lì a poco sarà il Movimento per la Vita. Gli eventi che seguono dicono di una sfida altissima: le cliniche radicali per gli aborti, la prima pronuncia sul diritto alla vita della Corte Costituzionale, la legge 194 che legittimerà l'interruzione volontaria della gravidanza, il tentativo immediato di allargarne le maglie, il referendum inevitabile. Sullo sfondo lo svaporamento crescente della proposta culturale del cosiddetto partito cattolico[1].
Il MpV si fonda quindi su un'idea, ha una precisa connotazione ideale, potremmo pur dire teorica.
Ma da subito, come per una sorta di scaturigine naturale, si affianca ad esso un lavoro di concretissima carità. Già prima che la legge 194 entrasse in vigore (1978), iniziano a prendere corpo e forma, per poi diffondersi un po' in tutta Italia, i Centri di Aiuto alla Vita.
Sì, i CAV si costituiscono con uno statuto, si dotano in genere di quadri direttivi. Ma è soprattutto lo spontaneismo a caratterizzarli. Spontaneità che è al contempo forza e debolezza di quell'iniziativa e che deriva dal percepire un'urgenza. Le schiere di volontari (oggi ormai migliaia e migliaia, per trecento centri che accompagnano un numero analogo di Movimenti per la Vita sparsi su tutte le regioni italiane) che animano i CAV appartengono a mondi che, per provenienza sociale, culturale, politica, sono assai diversi. Ad accomunarli 'solo' una forte sensibilità all'umano.
Quei volontari donne, in netta prevalenza- avvertono come lacerante la domanda che loro è rivolta, talora in modo gridato, talvolta sommessa, con gli occhi bassi, a volte persino muta, da una madre che ha perso il coraggio e la gioia di esserlo. Ma se quella domanda lacera, la risposta inevitabilmente urge.
Così, oggi, i dati censiti[2] dicono di circa centomila donne aiutate a superare la sfiducia d'esser madri e i suoi tormenti. Ma proprio perché non tutto quel lavoro, appunto 'urgente', può essere svolto nel rispetto delle fredde esigenze della registrazione (pur utilissima, persino doverosa), vien da ragionevolmente credere che i risultati, in termini di vite salvate[3], dai CAV possano andare ben oltre quel centomila per finire in una contabilità supplementare che, se rimarrà ignota agli uomini- confidano coloro che in quel lavoro si spendono-, non sfuggirà al datore della vita.
Quei volontari sono dunque lì, ogni giorno (ma anche la notte, quando serve, attraverso l'operatività costante del cosiddetto Telefono verde S.O.S. Vita[4]) ad ascoltare, anzitutto ad ascoltare. Poi ad offrire se stessi, le loro risorse. Uno strumento importante che in questi ultimi anni si è rivelato altresì efficace in ormai più di quindicimila casi (tante sono le madri che hanno potuto utilizzarlo) è il Progetto Gemma[5],iniziativa affidata dal MpV alla Fondazione Vita Nova, e consistente in un servizio di adozione temporanea a distanza di madri in difficoltà, tentate di rifiutare il bambino in grembo.
Con il Progetto Gemma (cui è stato destinato anche il personale contributo con cui Giovanni Paolo II volle, poco prima di morire, beneficare le opere del MpV) i volontari dei CAV, posti dinanzi ad una maternità che rischia di essere negata per situazioni d'indigenza grave, soccorrono con una provvidenza economica. Ma i dispensatori di questo servizio ben sanno tuttavia che non può essere la mera elargizione a risolvere la difficoltà. Raramente la minaccia di ricorrere all'aborto è motivata in modo esclusivo, esaustivo, dalla povertà economica. Crescono, certo, situazioni di quel tipo (ampie le domande in tal senso di donne immigrate), ma quasi sempre si affaccia in quelle donne un senso di solitudine, di abbandono. Ed è anche contro quella solitudine che i volontari offrono la loro stessa persona, il loro tempo, i loro carismi.
Colgono, le volontarie e i volontari dei Centri, che nel dubbio drammatico di una donna tentata dall'aborto si dà il pericolo di una distruzione immane. La rottura della più antica (e della più decisiva) delle umane alleanze, quella tra la madre e il suo bambino, ha un prezzo inaccettabile. Si perdono con essa due vite. Ed è la premura per entrambe che detta, ancora, l'urgenza della carità.
Dicevamo sopra delle vite salvate: ma non piace a tutti gli operatori dei Centri questa espressione. Ogni volontario sa che il contributo 'salvifico' non si darebbe se non passando per il consenso della madre. E, in ultimo, per la volontà di un Altro.
Note
[1 ]«Tutti, particolarmente i giovani, venivano a stringermi la mano per confortarmi, incoraggiarmi e offrirmi qualcosa. Si compravano, talora, con i loro soldi i manifesti che andavano ad affiggere la notte. Nessuno ha pensato di cominciare il cursus honorum politico lavorando nella campagna referendaria. Solo un ideale, che sentivano vero, li aveva tirati fuori dalle loro case, dalle loro scuole, spesso per la prima volta. Non ho più incontrato tanta disinteressata generosità. Tra la gente le differenze tra focolarini o ciellini, aclisti o membri del Movimento cristiano lavoratori, aderenti all'Azione cattolica o all'Opus Dei furono superate di slancio. Mi domando se tangentopoli, causa non secondaria della fine democristiana, avrebbe mai lacerato un partito fatto di quella gente», C. Casini, Diritto alla vita e ricomposizione civile, Ares, Milano 2001.
[2] La Segreteria Nazionale di Collegamento dei Centri di Aiuto alla Vita (coordinamento_cav@mpv.org), con sede a Padova, pubblica annualmente un accurato dossier che, tra gli altri interessanti dati (la distribuzione territoriale dei Centri, statistiche relative alla provenienza, all'età, alle difficoltà addotte dalle donne che vi si rivolgono, alle Case d'accoglienza di cui i CAV dispongono), reca anche il più significativo dato in materia di assistenza a donne con difficoltà ad accogliere una gravidanza, ovvero quello dei bambini nati, il dato che in qualche modo misura l'efficacia del servizio reso. Proprio quel dato che invece la Relazione ministeriale annuale sull'applicazione della L.194 ignora quando si occupa dell'attività dei consultori pubblici. Una lacuna che, ai più, appare irragionevole.
[3] Cfr. G. Mussini (a cura di), Vite salvate. Testimonianze, Interlinea, Novara 2003.
[4] Il numero verde di SOS Vita (800813000, gratuito) opera dal 1992. Nel documento illustrativo curato dal MpV si legge: «Da allora le chiamate [ad oggi, oltre trentamila, n.d.a.] non si sono più fermate. [
] Arrivano da tutta Italia, raccontano storie di ogni genere: solitudini e abbandoni, paure e violenze, timori per gravidanze non volute, difficoltà per figli non desiderati o già nati, tormenti, rimorsi, sofferenze psicologiche e morali, rimpianti per aborti fatti e mai dimenticati». Con esso non si «dà soltanto ascolto o parole d'incoraggiamento, ma si attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso la rete dei 600 CAV e Movimenti locali».
[5] Il Progetto Gemma è attivo dal 1994. Alla madre che accede ad esso è destinato un assegno mensile di centosessanta euro per diciotto mesi, dal quarto mese di gravidanza sino al compimento del primo anno di vita del bambino.