La legge 194 del 22 maggio 1978 tra applicazione e disapplicazione

Marina Casini


Uno, tanti, troppi fatti

Quella di Sonia è una storia come tante: una gravidanza fuori programma; un ragazzo conosciuto da poco che minaccia di andarsene se la gravidanza prosegue; la famiglia che, per il “bene” della ragazza che non ha un lavoro fisso, spinge, senza troppi scrupoli, nella direzione dell'aborto; la ragazza in preda a stati d'animo oscillanti; in mano il certificato di urgenza per effettuare l'aborto e in agenda l'appuntamento già fissato in un noto ospedale romano.
Prima di prenotare l'appuntamento, Sonia si era rivolta anche al consultorio di zona, ma non ha ricevuto alcuna parola di sostegno e d'incoraggiamento, nessuno si è preoccupato di ricercare alternative all'aborto o individuare una soluzione ai problemi presentati, nessuna attenzione rivolta al volontariato che va incontro alle donne la cui gravidanza è problematica.
Purtroppo, questo tipo di risposta da parte delle strutture pubbliche è comune a molte, a troppe donne. Alcune, però, come Sonia hanno avuto la fortuna di incontrare la mano tesa di un'amicizia disinteressata ritrovando così il coraggio e la gioia dell'accoglienza; ad altre, invece, “quella scelta” ha presentato il conto di un opprimente rimpianto[1].
A proposito dell'aborto oltre il terzo mese di gravidanza, consentito dalla Legge 194, lo scorso anno i quotidiani hanno riferito due episodi che hanno portato ancora una volta alla ribalta la questione dell'applicazione della Legge 194. A marzo del 2007, all'ospedale di Careggi a Firenze, viene diagnosticata un'anomalia all'esofago, curabile alla nascita[2], ad un bambino alla 22[a] settimana di gestazione. La madre (una giovane sposa di 22 anni) ricorre all'aborto che però non riesce e viene alla luce un bambino di 25 centimetri e 500 grammi, vivo e sano. Il piccolo muore dopo una settimana di agonia a causa della prematurità, lasciando nello strazio la madre e il padre[3].
A Milano, presso l'Ospedale San Paolo, una donna incinta di due gemelle, una sana e l'altra affetta dalla sindrome di Down, decide di abortire, alla trentacinquesima settimana, quella “malformata”. Per “errore”, viene eliminata la bimba sana. La donna ripete nuovamente l'aborto sulla gemellina sopravvissuta e si apre il dibattito sull'aborto selettivo[4].
I fatti appena ricordati sono espressione di una “cattiva gestione” della legge oppure di una “legge cattiva”? La “preferenza per la nascita” delineata nella prima parte della legge è limpida e robusta o equivoca e inefficace?

L'indagine conoscitiva del Parlamento e il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica

Queste domande sono suscitate anche dal rapporto sull'applicazione della 194 elaborato dall'apposita Commissione di indagine conoscitiva nominata dalla Commissione Affari Sociali della Camera alla fine del 2005[5] e dal parere del Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) intitolato Aiuto alle donne in gravidanza e depressione post-partum, approvato il 12 dicembre 2005 a larghissima maggioranza[6].
L'indagine conoscitiva ha messo in luce che - in contrasto con lo stesso articolo 1 della legge – l'efficacia e il funzionamento dei cosiddetti “filtri” per evitare che l'aborto sia utilizzato come mezzo di controllo delle nascite sono assai discutibili.
Il documento del CNB sottolinea la necessità di attuare la Legge 194 nella parte che riguarda la prevenzione c.d. post-concezionale (artt. 1, 2, 5) che, «secondo un giudizio ampiamente condiviso è rimasta insufficiente […] la relegazione di una donna nella solitudine, sia essa materiale o morale, dinanzi all'impegno della maternità costituisce infatti una violazione radicale della dignità umana della donna medesima e del figlio, e nel contempo rappresenta il fallimento dei vincoli solidaristici fondamentali per la convivenza civile».
Questo risultato, purtroppo, non stupisce, poiché nel corso degli ultimi tre decenni molte sono state le spie della dimenticanza del concepito quale soggetto della gravidanza: la riduzione della prevenzione alla sola contraccezione; l'idea che l'aborto sia la risposta inevitabile di fronte ad una gravidanza indesiderata; la concezione dell'aiuto alla donna come offerta di aborto libero, gratuito, “sicuro”; il concetto di libertà solo nel senso dell'autodeterminazione per l'interruzione volontaria della gravidanza; l'elevato numero di aborti; la frequenza di recidiva; lo spregiudicato ricorso alla dichiarazione di urgenza; le “obiezioni all'obiezione”; l'inefficacia dei consultori in ordine alla prevenzione “post-concezionale”; la mancanza di attenzione profonda ai colloqui; la mancanza di riferimenti all'identità umana del concepito negli strumenti illustrativi della legge; l'insufficiente valorizzazione del volontariato per la vita; le cause giudiziarie per ottenere il risarcimento danno per “nascita indesiderata” (aborto non riuscito o non effettuato); la modulistica per la relazione ministeriale solo in funzione degli aborti effettuati ai sensi della legge. La stessa opposizione all'indagine conoscitiva sulla legge e le reazioni scomposte sollevate ogni volta che a proposito della Legge 194 si parla del bambino non nato, vengono ad ulteriore conferma della cancellazione del concepito nell'orizzonte attuativo della norma.
Resta tuttavia la domanda: è sufficiente “correggere” la gestione della 194 per garantire la “preferenza per la nascita” oppure è la formulazione della legge stessa che favorisce la sua “cattiva applicazione”?

La realtà dietro le parole

Una lettura superficiale della legge può far ritenere che gli episodi ricordati siano espressione soltanto di una carente applicazione della 194, poiché:
1) il legislatore avrebbe inteso l'aborto non come “scelta di elezione”, ma come “ultima opzione” (art. 1: «lo Stato […] tutela la vita umana sin dal suo inizio. L'interruzione volontaria della gravidanza […] non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le Regioni e gli enti locali […] promuovono […] iniziative necessarie per evitare che l'aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite»);
2) il compito affidato ai consultori dovrebbe essere quello di evitare il ricorso all'aborto (art. 2: «I consultori […] assistono la donna in stato di gravidanza: […] c) attuando direttamente o proponendo all'ente locale competente o alle strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati normali interventi di cui alla lettera a); d) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza»);
3) non solo la disciplina dell'aborto oltre i primi tre mesi, ma anche quella relativa al primo trimestre parrebbe circoscritta a poche, estreme, particolari indicazioni (l'art. 4 si riferisce a: «circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito»);
4) tali indicazioni dovrebbero essere accertate da un terzo imparziale e, in ogni caso, dovrebbe esplicarsi un colloquio tra la donna e il personale della struttura consultoriale o quello socio-sanitario in cui sono valutate soluzione alternative all'aborto (art. 5: «Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall'incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta […] le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero all'interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto»);
5) l'aborto dopo i primi novanta giorni sarebbe praticamente assai raro (art. 6: «quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna». Inoltre, in base all'art. 7, questa seconda ipotesi trova un limite nella «possibilità di vita autonoma del feto […] e il medico che esegue l'intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardarne la vita»).
Le attese di cui ai punti 1, 2, 3 e 4 sono lettera morta per gran parte delle quasi 5.000.000 (cinque milioni!) di gravidanze che sono state interrotte ai sensi della Legge 194 dal 1978 ad oggi[7]. È noto, infatti, che la pratica dell'aborto legale riguarda per lo più i primi tre mesi di gravidanza.
Si potrebbe obiettare che non vi è prova di quanto affermato. In realtà, tale conclusione è suggerita proprio dalle relazioni che periodicamente, in base all'art. 16 della Legge 194, il Ministro della salute è tenuto a redigere riguardo all'applicazione della Legge 194 anche in ordine alla prevenzione[8]. In esse non vi è traccia di verifica di nessuna delle incombenze di cui i consultori sarebbero tenuti a farsi carico; non è dato sapere quali proposte sono state fatte e quali interventi sono stati attivati per rimuovere e superare le cause dell'aborto; non si dà conto degli aiuti offerti, né di dove e come sono stati avviati rapporti di collaborazione tra i consultori e il volontariato a servizio della vita umana; non si fa cenno ai bambini nati per effetto del colloquio con il personale del consultorio o con il medico; non si delineano linee strategiche a favore della nascita, non ci si sofferma su casi particolarmente difficili giunti a lieto fine.
Dunque, al di là di singoli positivi episodi, le lacune presenti nelle relazioni governative fanno legittimamente ritenere che la cosiddetta “preferenza per la nascita” sia considerata - quantomeno - insignificante ai fini dell'applicazione della legge.
Analogo ragionamento porta a ritenere che gli episodi di Firenze e di Milano siano espressione di molti altri episodi simili ma non conosciuti. Dalle relazioni ministeriali, infatti, non risultano le anomalie e le malformazioni che hanno determinato l'aborto oltre il terzo mese, né quando esse debbano considerarsi “rilevanti”, né quale sia il comportamento dei medici e degli operatori sanitari in presenza della possibilità di vita autonoma del feto, né se sia stata o meno richiesta la collaborazione di specialisti psichiatri o neonatologi, né quanti bambini siano nati vivi nonostante fosse stato eseguito un aborto[9]. Nonostante in apparenza non sia consentito l'aborto eugenetico, è ormai accettata l'idea che si possa discriminare tra esseri umani, rendendo così la gravidanza una sorta di “setaccio” dei figli.
È solo un problema di carente applicazione?
Una lettura attenta e una riflessione approfondita mostrano che la volontà della legge non corrisponde al suo intento letterale e che quanto si verifica nei fatti non è in realtà dovuto ad una “cattiva” gestione della legge, ma all'ingiustizia e all'equivocità della legge le cui parole iniziali svolgono in pratica una funzione ingannatrice[10].

Non è una questione di “applicazione”

Per rendersene conto, è sufficiente esaminare gli articoli richiamati al paragrafo precedente. L'art. 1 afferma che «Lo Stato […] tutela la vita umana fin dal suo inizio». I dibattiti che hanno accompagnato l'approvazione e la gestione della 194 sono stati caratterizzati dal tentativo di evitare la risposta alla domanda fondamentale sulla natura e sull'identità del concepito (oggetto o soggetto? Qualcosa o qualcuno?) ricorrendo ai noti argomenti della lotta all'aborto clandestino, dell'inefficacia della sanzione penale, della questione femminile, della “socializzazione”, della “sanitarizzazione”[11].
Qual è l'inizio per lo Stato? Dalla risposta dipende l'atteggiamento complessivo verso l'aborto. A riguardo è interessante sapere che durante i lavori parlamentari fu proposto il seguente emendamento “aggiungere le parole: nel concepimento”. L'emendamento fu respinto, non tanto perché si volle negare che quello fosse l'inizio, quanto perché, come si espresse il relatore, il socialista Pittella, «é ovvio che la vita umana comincia nel concepimento: dire “inizio” e dire “concepimento” è la stessa cosa. Le leggi devono evitare le inutili ripetizioni». Così l'emendamento fu bocciato, ma subito dopo l'approvazione della legge fu detto che fino al terzo mese di gestazione non si può certo parlare di “essere umano”! Ancora oggi, a proposito della Legge 194, nonostante le maggiori acquisizioni scientifiche sull'inizio della vita rispetto a trent'anni fa, si continua a sostenere che “non si può stabilire con categorie scientifiche quando inizia la vita”[12].
Si osserva, inoltre, che la tutela della vita umana è collocata al terzo posto dopo il “diritto alla procreazione cosciente e responsabile” e la “tutela sociale della maternità”, mentre in ordine d'importanza – anche nella prospettiva dell'ordinamento giuridico – la tutela della vita dovrebbe occupare una posizione prioritaria. Non solo: manca la ragione esplicativa della “tutela”. “Tutelare” una realtà non implica riconoscere il diritto di un individuo umano vivente ad esistere, poiché anche le cose (l'ambiente, le opere d'arte, le piante, gli animali, il cadavere) possono essere meritevoli di tutela ed in effetti sono legalmente protette. Dunque l'espressione dell'art. 1 non garantisce né chiarisce alcunché.
In pratica, la sostanziale irrilevanza dell'essere umano concepito ha permesso di interpretare la prevenzione dell'aborto solo come prevenzione dei concepimenti mediante la diffusione della contraccezione, con uno stravolgimento anche dell'art. 2 e dell'art. 5 in merito alla funzione dei consultori e del colloquio tra il medico e la donna.
Il compito di tutelare la vita nascente assegnato ai consultori, enunciato all'art. 2, infatti, viene contraddetto sia dall'obbligo che fa capo anche al medico del consultorio di rilasciare il “foglio” finalizzato a praticare l'aborto[13] (art. 5, commi 3 e 4), sia dalla possibilità per la donna di evitare il passaggio dal consultorio, poiché la donna può rivolgersi ad un consultorio pubblico o a una struttura socio-sanitaria o al medico di fiducia (art. 4).
Così, il consultorio, da strumento di alternativa all'aborto, in molti casi è divenuto garanzia di aborto e ad esso si rivolge chi non ha un medico di fiducia, o ne vuole superare l'obiezione di coscienza, oppure non vuole per qualsiasi ragione che egli venga a conoscenza della gravidanza e dell'intento abortivo. La funzione dei consultori è stata talmente stravolta che spesso il bando concorsuale per l'assunzione in tali strutture prevede, tra i requisiti, che i medici non sollevino obiezione di coscienza.
Quanto alle cause che dovrebbero legittimare la IVG nei primi 90 giorni, l'elenco dell'art. 4 è quanto di più equivoco si possa immaginare. Tutte le numerose circostanze indicate sono talmente ampie sia in sé considerate (economiche, familiari, sociali, previsione di anomalie o malformazioni del nascituro, circostanze del concepimento) sia nella loro estensione temporale (prosecuzione della gravidanza, parto o maternità) da contrastare ogni funzione responsabilizzante nei confronti della donna. Responsabilità che, per certi versi, il legislatore del 1978 - sebbene in una logica di autodeterminazione - sembrerebbe aver perseguito. Inoltre, tutte queste cause ricadono nel “serio pericolo per la salute fisica o psichica della donna”. Dai lavori preparatori si ricava che il riferimento alla salute della donna fu fatto per rispettare la decisione della Corte Costituzionale n. 27 del 18 febbraio 1975[14]. In realtà, leggendo quella sentenza ci si rende conto che si tratta di un rispetto simulato, poiché nella Legge 194 il concetto di salute viene esteso alla salute psichica, mentre la Corte aveva parlato soltanto di “salute” senza aggiungere l'aggettivo “psichica”. A parte questo, la cosa più singolare è che tra le cause che ricadono nel concetto di salute fisica e psichica viene indicata anche la salute, segno evidente che il comune denominatore di tutte le cause - la salute fisica e psichica - è inteso come qualcosa di diverso dalla salute in senso vero e proprio.
Per quanto così generica l'elencazione potrebbe indurre il lettore a ritenere che almeno una causa “giustificatrice” dell'aborto, diversa dalla libera decisione della donna ci debba essere. Invece non è così: le circostanze sono soltanto “accusate” dalla donna (art. 4), non “provate” e tanto meno verificate dal medico, obbligato a rilasciare alla donna il “titolo” (art. 8) per eseguire l'intervento se la donna non muta la sua intenzione (art. 5, ultimo comma). Tale “titolo” secondo la procedura ordinaria deve contenere solo l'attestazione della gravidanza, l'avvenuta richiesta da parte della donna e le firme del medico e della donna stessa. Nel caso di procedura d'urgenza, il “titolo” deve contenere solamente l'attestazione dell'urgenza.
In realtà, dunque, l'interruzione è decisa liberamente dalla donna la quale è tenuta soltanto ad incontrarsi col medico a sua scelta e attendere sette giorni prima dell'esecuzione dell'intervento (artt. 4 e 5). Tale attesa non è necessaria se viene dichiarata l'urgenza. Il compito riscontrabile del medico è quello di accertare lo stato di gravidanza e di verificare se esistono alternative in eventuale presenza anche del padre del concepito se la donna lo consente. Non esiste nella legge alcuno strumento di controllo sul contenuto del colloquio, al termine del quale il medico attesta, come già osservato, solo la richiesta e lo stato di gravidanza. Non gli è consentito accertare o dichiarare cause di qualsiasi natura che costituiscano indicazioni per l'IVG. La sola giustificazione è la volontà della donna. Questa disciplina è in contrasto con gli orientamenti espressi dalla Corte Costituzionale, in modo particolarmente chiaro nelle sentenze n. 27 del 1975 e n. 35 del 1997[15],ma, purtroppo le impugnative di incostituzionalità degli artt. 4 e 5 non hanno avuto esito favorevole, non perché ritenute infondate, ma perché valutate inammissibili per ragioni procedurali[16].
In particolare, il contrasto tra questa conclusione e la ricordata sentenza costituzionale 27/1975, è evidente[17]: la Corte mantenne il divieto di aborto, contemporaneamente allargando lo “stato di necessità” in modo da ridurre gli spazi di punibilità dell'aborto stesso. Lo “stato di necessità”, già previsto come esimente generale nel diritto penale e civile, venne ampliato dalla Corte in ragione della speciale situazione della gravidanza che esige una valutazione della “necessità” non dopo, ma prima dell'aborto al fine di predisporre idonee garanzie igienico-sanitarie per la donna. La liceità giuridica dell'aborto, ancorata alla situazione in cui «l'ulteriore gestazione implica danno o pericolo grave, medicalmente accertato […] e non altrimenti evitabile per la salute della madre», fu affidata al legislatore con l'“obbligo” di «predisporre le cautele necessarie per impedire che l'aborto venga procurato senza seri accertamenti sulla realtà e gravità del danno e del pericolo che potrebbe derivare alla madre dal proseguire la gestazione e perciò la liceità dell'aborto deve essere ancorata ad una previa valutazione delle circostanze atte a giustificarla». Ebbene, la Legge 194 non prevede alcuna possibilità di valutazione medica, esclude l'idea stessa di conflitto tra diritti e interessi, perché di fatto lascia alla donna la facoltà di abortire per qualsiasi causa.
Se la verifica della reale volontà della legge va fatta soprattutto in ordine al “cuore” della legge che corrisponde alla disciplina dell'IVG nei primi 90 giorni, non si può non segnalare la tendenza liberalizzante anche per l'aborto oltre il terzo mese (c.d. “aborto terapeutico”). Dare per scontato che prematuri viventi anche se estremamente fragili possano essere l'esito di aborti, significa non tenere in seria considerazione il criterio indicato dall'art. 7 secondo cui, quando sussiste una “possibilità” di vita autonoma, l'IVG non può essere effettuata se non nel caso di grave pericolo per la vita della madre. Si noti a riguardo che la “possibilità” di vita autonoma è diversa dalla “probabilità” e l'autonomia di vita è cosa diversa dalla pienezza di salute della vita. Perciò le segnalazioni di casi in cui, a seguito di un aborto nel secondo trimestre, il corpicino di un “grande prematuro” gemente viene abbandonato sul tavolo operatorio o addirittura viene affrettata la morte dei neonati esponendoli al gelo di un frigorifero o ponendoli su un davanzale, indicano che l'aborto è stato fatto quando il bambino aveva raggiunto la “possibilità di vita autonoma” e che non si è fatto tutto il possibile per salvaguardarne la vita. La violazione della Legge 194 è palese[18]. Inoltre, l'art. 6 richiede anche l'incidenza di accertate rilevanti anomalie o malformazioni del feto sulla salute anche psichica della madre, con l'effetto di determinare una malattia grave, anch'essa clinicamente accertata[19]. Giungono, invece, purtroppo, notizie - come quella di Firenze ricordata all'inizio di questo scritto - di feti abortiti, assolutamente privi delle anomalie che avevano giustificato l'IVG, oppure affetti da malformazioni di piccola entità e curabili. Eppure, da quanto risulta da numerosi casi seguiti dai Centri di Aiuto alla Vita, a molte gestanti è stata documentata una anomalia o una malformazione del figlio con la conseguente indicazione di IVG, e sono poi nati bambini perfettamente sani. In questo senso sono da considerare anche i dati raccolti da “Telefono rosso”[20].
Dunque la legge è ingiusta anche nelle parti considerate “buone” che, nella sostanza, sono servite per calamitare consensi attorno alla normativa anche da parte delle aree culturali contrarie al diritto di aborto[21].

Una legge che ha concorso alla diffusione degli aborti

Nonostante questo, è ampiamente diffusa l'affermazione – sostenuta anche nelle relazioni ministeriali - secondo cui la legge avrebbe “funzionato” perché nel corso degli anni avrebbe sostanzialmente eliminato il fenomeno dell'aborto clandestino e avrebbe favorito un calo degli aborti volontari attraverso la «promozione di un maggiore e più efficace ricorso a metodi di procreazione consapevole, alternativi all'aborto secondo gli auspici della legge»[22].
Un'articolata e completa replica a queste tesi si trova nei rapporti al Parlamento sulla prevenzione dell'aborto volontario, elaborati in questi anni dal Movimento per la Vita (1982, 1983, 1987, 1993, 2002, 2008). Le considerazioni che seguono attingono principalmente a questo prezioso materiale[23].
Quanto alla diffusione e all'efficacia della contraccezione come strumento di prevenzione dell'aborto - ricordando comunque l'importanza della riflessione etica sulla contraccezione, e ritenendo necessario distinguere la contraccezione dai metodi dichiarati contraccettivi ma che in realtà sono abortivi - ci si domanda se la contraccezione non si sarebbe diffusa in uguale misura a prescindere dalla legge che legalizza l'aborto e si osserva che, se fosse la contraccezione a ridurre l'aborto, non si capisce perché tale merito dovrebbe attribuirsi alla Legge 194.
La tesi che la Legge 194 ha ridotto gli aborti perché avrebbe diffuso la contraccezione è contrastata dal confronto con Francia, Gran Bretagna, Germania, Paesi di tradizione e popolazione simile alla nostra, nei quali la contraccezione è più diffusa che in Italia. In Francia ed Inghilterra, nonostante la più diffusa contraccezione, gli aborti sono molto più numerosi che in Italia e la loro cifra è rimasta pressoché costante nel corso degli anni: 200.000. Viceversa, in Germania, nonostante la popolazione tedesca sia molto più numerosa di quella italiana e nonostante il più alto ingresso di extracomunitari, le interruzioni di gravidanza sono state sempre meno frequenti che in Italia. Questo fenomeno si spiega con il fatto che l'ordinamento giuridico tedesco impone un'educazione che riconosce l'embrione come un essere umano e che la rete dei consultori, numerosi ed efficienti, ha lo scopo esplicito e dichiarato anche alla madre di difendere la vita del figlio attraverso il consiglio e l'aiuto.
Quanto alla progressiva riduzione del fenomeno abortivo, nonostante la sicurezza con cui vengono ostentate le “cifre della diminuzione” - nell'ultima relazione (21 aprile 2008) i dati provvisori del 2007 indicano la cifra di 127.038 aborti a fronte degli oltre 230.000 del 1982 - vi sono argomenti per dimostrare che, invece, la realtà è un'altra. Quanto all'ultima relazione si osserva che i dati provvisori sono tali proprio perché non sono completi; e dunque la cifra degli aborti andrà inevitabilmente ad aumentare. Per esempio, il numero provvisorio di aborti compiuti nel 2005 è stato di 129.588 e quello definitivo di 132.790. Tenendo conto dei dati riportati nelle varie relazioni ministeriali a partire dalla prima del 1978, è ragionevole indicare una stabilizzazione del fenomeno nella media annuale di circa 130.000-133.000 aborti.
Inoltre, bisogna osservare che in ogni caso le cifre – che restano altissime - non tengono conto dell'ancora persistente e non misurabile aborto clandestino, né dell'abortività, incontrollabile ed occulta, dovuta all'assunzione della c.d. “pillola del giorno dopo”.
Quanto alla clandestinità, è ovvio che la legalizzazione ne abbia ridotto la portata (sicuramente inferiore a quella denunciata prima dell'entrata in vigore della legge), ma ha amplificato l'aborto in sé, senza peraltro sgominare l'aborto clandestino (come rivelano svariati episodi che periodicamente sono posti sotto i riflettori della cronaca).
Inoltre, accanto alla clandestinità dell'aborto chirurgico, in questi anni è andata incrementando la clandestinità dovuta sia all'assunzione della pillola RU486 senza controllo medico e senza ospedalizzazione (con gravissimi rischi per la salute fisica e psichica della donna e in qualche caso anche per la vita)[24], sia all'assunzione della c.d. “pillola del giorno dopo” chiamata – secondo il noto meccanismo dell' “antilingua”[25] - “contraccezione d'emergenza”.
Si consideri che tale forma di aborto precoce è in contrasto con la disciplina della Legge 194 tra le cui finalità vi è anche quella di reprimere le pratiche abortive che si svolgono in circostanze differenti da quelle previste dalla stessa legge, in particolare, nel caso di assunzione della “pillola del giorno dopo”, al di fuori delle procedure previste agli artt. 4 e 5.
A conforto di quanto affermato viene un passaggio della relazione presentata dal Ministro della Sanità sull'attuazione della Legge 194/1978 per l'anno 1992: «è motivo di preoccupazione il diffondersi probabile di metodiche impropriamente chiamate contraccettive, che, in realtà non impediscono la fecondazione dell'ovulo, e che perciò non vanno catalogate nel campo della contraccezione. Variamente denominate (“pillola del giorno dopo”, “contragestazione”, “pulizia mestruale”) queste metodiche vengono usate dopo un rapporto non protetto, omesso l'accertamento della gravidanza. Sfuggono perciò ad ogni controllo, anche se violano la Legge 194, il cui art. 1 non distingue tra tutela della vita prima o dopo l'impianto e possono aumentare in modo non verificabile la quantità di abortività clandestina»[26].
Quindi, anche se l'effetto abortivo non si verifica automaticamente per ogni assunzione, è certo che vi è un notevole numero di aborti precocissimi e nascosti che incrementano la clandestinità e, ovviamente, riducono la somma totale delle IVG registrate[27]. Non è, dunque, affatto certo che gli aborti in Italia siano diminuiti e, comunque, si dovrebbe tener conto anche della diminuzione delle classi di età feconda per effetto del crollo delle nascite e dell'innalzamento dell'età matrimoniale.
In ogni caso, la cifra complessiva degli aborti sigillati dalla Legge 194 resta elevatissima ed è evidente il contrasto con il dettato della stessa Legge, secondo cui l'aborto non deve essere usato come mezzo di controllo delle nascite: l'elevato numero degli aborti sembra provare che in un gran numero di casi è proprio questo l'uso che ne viene fatto.
Bisogna aggiungere che, se una diminuzione vi è stata, il merito non è della Legge 194, ma di altri fattori che “nonostante” la 194 hanno fatto breccia nella società. L'incessante messaggio sulla vita della Chiesa, in particolare durante il lungo pontificato di Giovanni Paolo II (iniziato proprio nel 1978, anno in cui venne approvata la Legge 194), il tenace lavoro del Movimento per la Vita e dei Centri di Aiuto alla Vita, la presenza operante nella società di associazioni e gruppi che arricchiscono il “popolo della vita”, hanno certamente prodotto un effetto di sensibilizzazione delle coscienze che ha diminuito il numero degli aborti. Centomila figli giunti alla nascita grazie alla discreta e intensa solidarietà offerta dai Centri di Aiuto alla Vita, sono un segno di questa non ignorabile realtà[28].

Possibili correzioni alla gestione della Legge 194 attraverso la via amministrativa

Ferma restando l'opportunità di una riforma della legge nella direzione del riconoscimento del diritto alla vita del concepito di cui si dà conto in un altro contributo in questa rivista[29], è da valutare seriamente anche un'incisiva correzione della legge nella fase della sua applicazione sempre al fine di tutelare quanto più è possibile l'essere umano concepito e non ancora nato.
È stato suggerito[30] di partire dall'art. 16 della legge che impegna i ministri della Sanità e della Giustizia a presentare ogni anno al Parlamento una relazione sull'attuazione della legge anche in ordine alla prevenzione. La funzione di questa norma è chiara: mantenere costante l'attenzione degli organi politici e legislativi sul funzionamento della 194 allo scopo di promuoverne e attuarne eventuali modificazioni, correzioni esecutive, integrazioni.
È proprio sotto questo profilo che le relazioni ministeriali (che per altro hanno spesso trascurato il rispetto dei tempi) non hanno offerto sufficienti elementi di valutazione. Il tema della prevenzione, infatti, non è mai stato affrontato in modo impegnato ed esaustivo, perché è stato interpretato solo in termini contraccettivi, cioè in termini astratti e generici (si vuole evitare qualsiasi concepimento) e non concreti e specifici (ci si impegna ad evitare che quello specifico essere umano sia eliminato sostenendo concretamente la madre). Le relazioni sono state così trasformate in adempimenti semi-burocratici limitati a registrare statisticamente il numero delle IVG effettuate nell'anno di riferimento e a darne classificazione in base al territorio, all'età gestazionale, alle caratteristiche anagrafiche delle donne, alle metodologie di intervento, ai soggetti ai quali le donne si rivolgono per avviare l'iter dell'IVG.
In realtà la legge sia pure debolmente prevede una prevenzione dell'aborto a concepimento avvenuto (prevenzione post-concezionale) e i rapporti ministeriali dovrebbero indicare non solo il numero degli “aborti legali”, ma anche quello dei nati vivi per applicazione della legge, nonostante l'inclinazione verso l'aborto da parte della donna.
La via amministrativa suggerita per correggere l'applicazione della legge, potrebbe essere quella di modificare la relazione annuale del Ministro della salute e, prima ancora, le schede di rilevazione che esso deve predisporre ai sensi dell'art. 16 L. 194/1978. Le schede di rilevazione dovrebbero far conoscere quali iniziative sono adottate dagli enti locali per evitare che l'aborto sia usato come mezzo di controllo delle nascite; quali collaborazioni sono state avviate (mediante regolamenti e convenzioni) con le associazioni di volontariato (o strutture sociali operanti sul territorio) che hanno il compito di aiutare le maternità difficili o indesiderate; quali “speciali interventi” sono stati attuati (direttamente o indirettamente) quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultano inadeguati i normali interventi; quali contributi sono stati offerti alla donna al fine di superare le cause che potrebbero indurla all'IVG; quali alternative le sono state offerte; quali sono state le cause degli aborti effettuati; in quanti casi l'IVG è stata evitata per effetto di una consulenza e di un aiuto delle istituzioni pubbliche in favore della nascita; qual è stata la ragione delle dichiarazioni di urgenza che ha giustificato l'eliminazione dell'attesa dei 7gg.; quali sono le patologie dei nascituri che hanno giustificato l'IVG per motivi di salute della madre oltre i primi 90gg.; se sono stati fatti riscontri diagnostici per vedere se le anomalie/malformazioni del nascituro erano realmente esistenti; se la malattia psichica della madre è stata diagnosticata, e da chi; qual è l'età gestazionale fino alla quale vengono eseguiti gli interventi di IVG; se è stata effettuata una collaborazione con i neonatologi; come monitorare la frequenza dell'aborto illegale; infine, come già detto, quanti bambini sono nati per effetto della legge, nonostante l'iniziale inclinazione all'aborto della madre.
Gli effetti sull'applicazione della Legge 194 derivanti da altre leggi e riforme legislative

Per evitare le derive dovute alla dimenticanza dei figli concepiti nell'applicazione della Legge 194, hanno rilevanza anche altre leggi o riforme legislative che potrebbero esplicare effetti innovativi sull'ormai datata Legge 194 rinforzando, almeno, la c.d. “preferenza per la nascita”.
Tra queste citiamo in primo luogo la Legge 40 del 2004 sulla procreazione artificiale che riconosce all'art. 1 la qualità di “soggetto titolare di diritti” anche al concepito.
Inoltre, non può non tenersi conto della proposta di legge d'iniziativa popolare volta a modificare l'art. 1 del codice civile affinché venga riconosciuta la capacità giuridica di ogni essere umano fin dal concepimento[31]. Promossa nel 1995 dal Movimento per la Vita[32], la richiesta di modifica dell'art. 1 del codice civile è stata nuovamente presentata nella legislatura in corso[33].
Merita poi seria considerazione un'organica riforma legislativa dei consultori familiari qualificati e strutturati come organismi limpidamente posti a servizio della vita nascente e della maternità. In questa direzione va la proposta di legge promossa dal Forum delle Associazioni Familiari e presentata nell'attuale legislatura con il PDL n. 493 del 29 aprile 2008, a firma dei parlamentari Capitanio Santolini e Volonté[34].
Infine, tra le iniziative che possono avere ricadute nella riflessione e nell'attuazione della Legge 194 in ordine al riconoscimento del diritto alla vita del concepito deve essere sottolineata l'importanza della Petizione europea per la vita e la dignità dell'uomo, promossa dal Movimento per la Vita italiano, insieme ad altre associazioni per la vita d'Europa e per la famiglia d'Europa e appoggiata ufficialmente in Italia dall'Associazione Scienza & Vita e dal Forum delle Associazioni Familiari[35].
La Petizione, incoraggiata anche da Benedetto XVI il 12 maggio scorso nel ricevere i dirigenti del MpV italiano insieme ad alcuni rappresentanti di movimenti per la vita e la famiglia europei[36], cade significativamente nell'anno in cui ricorre il sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e il trentesimo della Legge 194. Non è accettabile che nel momento in cui si celebrano i diritti dell'uomo, il diritto alla vita del più debole degli esseri umani non venga riconosciuto. La Petizione europea si pone così come uno strumento di quella “mobilitazione generale” “per mettere in atto una grande strategia a favore della vita” auspicata dall'Evangelium vitae[37]: perciò è necessaria l'adesione di associazioni, movimenti e comunità, ma è necessaria anche l'adesione e l'impegno di tanti singoli cittadini[38]. Tanto più numerose saranno le sottoscrizioni, tanto maggiore sarà l'autorevolezza della Petizione.
Europa etimologicamente significa “grandi occhi”, “sguardo ampio”. La Petizione, in fondo, vuole rendere l'Europa davvero capace di vedere fino in fondo l'uguale dignità di ogni essere umano; il diritto alla vita di tutti e di ciascuno a partire da quel “piccolo bambino non nato”. L'Italia in questa prospettiva può svolgere un ruolo di primo piano e chissà che a poco a poco anche lo sguardo del “Bel Paese” non si faccia più nitido e profondo.

Note

[1] T. Cantelmi, «Se l'aborto uccide la donna», in Sì alla vita 11/2007, 34-35; S. Gindro, S. Mancuso, G. Astrei, R. Bracalenti, E. Mordini (a cura di), Aborto volontario, Le conseguenze psichiche, Cic Edizioni internazionali, Roma 1996; T. Cantelmi, C. Cacace, L'impatto psichico dell'interruzione volontaria di gravidanza, consultato su www.zenit.org/article-12035?l=italian [accesso del 30/09/2007].
[2] L. Romano, «Atresia esofagea. Guarisce il 95% dei trattati», in Sì alla vita 03/2007, 16-17.
[3] Sulla vicenda si veda l'articolo «Tommaso ucciso senza ragione», in Sì alla vita 03/2007, 14-16. Per una valutazione della vicenda si veda anche l'editoriale dello stesso numero di Si alla vita, 5.
[4] «L'ombra dell'eugenetica», in Sì alla vita 09/2007, 37-39.
[5] Camera dei Deputati, XII Commissione, Indagine conoscitiva sull'applicazione della legge 194 del 1978 recante “Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza”, in particolare per quanto riguarda le funzioni attribuite dalla legge ai consultori familiari. Documento conclusivo (31 gennaio 2006), pubblicato per ampi stralci in Sì alla vita 02/2006, 29-32.
[6] Comitato Nazionale per la Bioetica, «Aiuto alla donna in gravidanza e depressione post-partum», in Medicina e Morale, 2/2006, 374-404.
[7] Sul punto si vedano i dati riportati nelle tabelle in: D. Nardi, «Sacrificati al moderno Molok», in Sì alla vita 05/2008, 10-13.
[8] Le relazioni sono reperibili nel sito del Movimento per la Vita, www.mpv.org, cliccando su “Area politica” e successivamente su “Relazioni ministeriali”.
[9] Sui casi “aborti falliti” ovvero di bambini che riescono a sopravvivere ad un aborto, si vedano gli articoli pubblicati in Sì alla vita 04/2007, 22-30.
[10] C. Casini, «La moratoria sull'aborto. Quali riforme?», in Studi Cattolici, n. 564 (febbraio 2008), 93-100.
[11] C. Casini, «Parere sulla ipotizzata IVG della minorenne di Pozzallo, convenzionalmente chiamata Laura», in Medicina e Morale, 1/2000, 103-111.
[12] G. Fattorini, Aborto. Un medico racconta trent'anni di 194, Guerini e associati, Milano 2008, 21.
[13] Si potrebbe obiettare che il medico non è obbligato a rilasciare il documento. L'espressione usata dal legislatore a proposito depone tuttavia per l'opposta soluzione e cioè che il medico non può rifiutarsi di concedere il titolo. Nel linguaggio giuridico, l'indicativo presente (nel caso in esame: “rilascia”) manifesta un comando (“deve rilasciare”). Se il legislatore avesse avuto un'intenzione diversa avrebbe scritto “può rilasciare”.
[14] Corte Costituzionale, sentenza n. 27 del 18 febbraio 1975, in Giurisprudenza costituzionale 1/1975, 117-120.
[15] Corte Costituzionale, sentenza n. 35 del 10 febbraio 1997, in Giurisprudenza costituzionale 1/1997, 281-293 con note di C. Casini, «Verso il riconoscimento della soggettività giuridica del concepito?», ivi, 293-312 e di M. Olivetti, «La Corte e l'aborto, fra conferme e spunti innovativi», ivi, 312-316.
[16] M. Casini, Il diritto alla vita del concepito nella giurisprudenza europea. Le decisioni delle Corti Costituzionali e degli organi sopranazionali di giustizia, Cedam, Padova 2001, 111-200.
[17] C. Casini, Diritto alla vita. La vicenda costituzionale, Ed. Dehoniane, Napoli-Roma 1982, 33-40.
[18] Sul punto si è aperto nei mesi scorsi un ampio dibattito anche in relazione alla doverosità o meno di rianimare i “grandi prematuri” sopravvissuti all'aborto. La moderna neonatologia consente, infatti, di salvaguardare la vita del feto anche molto prematuro, ma non esclude la sequela di handicap. La legge 194, come osservato, impegna il medico a fare tutto il possibile per salvaguardare la vita del feto che ha possibilità di vita autonoma, non indica la via dell'abbandono terapeutico se la salute del feto è compromessa. Per approfondimenti si veda: C.V. Bellieni, «Withholding and withdrawing neonatal therapy: an alternative glance», in Ethics Med. 19/2 (2003), 99-102; Id., «Cure per i neonati considerati grandi prematuri», in Quaderni Scienza & Vita, 3/2007, 65-75.
[19] L. Eusebi, «La legge sull'aborto: problemi e prospettive. Le questioni aperte in materia costituzionale e l'evoluzione legislativa possibile, con un'analisi dei criteri etici di intervento sulle c.d. “norme imperfette”», in Iustitia 3/1996,239-294.
[20] “Telefono Rosso” è la linea telefonica (06 – 3050077) istituita presso il reparto di Ginecologia e Ostetricia del Policlinico Gemelli di Roma che funziona come sportello informativo nel caso che sia temuto l'effetto dannoso di farmaci sulla gravidanza o, comunque, sia temuta un'anomalia o una malformazione per qualsiasi altra causa. Nella maggioranza dei casi, il timore della donna (e dei medici), che aveva determinato un orientamento verso l'IVG, talvolta già formalizzato nel documento autorizzativo, risulta infondato.
[21] C. Casini, «L'aborto», in T. Scandroglio [a cura di], Questioni di vita e di morte, Ares, Milano 2008.
[22] Ministero della Salute, Relazione del Ministro della Salute sull'attuazione della legge contenente Norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria della gravidanza (legge 194/1978) Dati preliminari 2007, dati definitivi 2006 , consultato su
www.mpv.org/mpv/allegati/498/relazione%202008.pdf [accesso del 30/09/2007]. Analoghe affermazioni si trovano nell'Accordo tra il Ministero della Salute e i Rappresentanti delle Regioni su: «Indicazioni al fine di una migliore applicazione della legge n. 194/1978, di una migliore tutela della salute sessuale e riproduttiva e sull'appropriatezza-qualità nel percorso della diagnosi prenatale», in Settimanale Salute, n.7, (febbraio 2008), www.mpv.org/mpv/allegati/702/SETTIMANALE%20SALUTE0208.pdf [accesso del 30/09/2007].
[23] Movimento per la Vita, Rapporto al Parlamento sulla prevenzione all'aborto per il 1981 (Contributo alla attuazione dell'art. 16 L. 22 maggio 1978 n. 194 e rilievi critici alle relazioni ministeriali), Roma, giugno 1982 (stampa a cura del MpV); Id., Rapporto annuale al Parlamento sulla prevenzione dell'aborto (contributo alla attuazione dell'art. 16 L. 22 maggio 1978 n. 194 e rilievi critici alle relazioni ministeriali), Roma 22 maggio 1983 (stampa a cura del MpV); Id., III Rapporto al Parlamento, Roma 22 gennaio 1987 (stampa a cura del MpV); Id., IV Rapporto al Parlamento: Prevenzione dell'aborto volontario e applicazione della legge 194, 1 ed. marzo 1993, 2[a] ed. agosto 1994, in Suppl. a Sì alla vita 7-8/1994; ID, Prevenzione dell'aborto e volontariato: dall'esperienza alla proposta. Quinto Rapporto al Parlamento sulla prevenzione dell'aborto volontario, Cantagalli, Siena 2002; ID., Trent'anni di servizio alla vita nascente, Cantagalli, Siena 2008.
[24] Sulla RU486 si vedano i lavori di: V. Tambone, Valutazione morale dell'uso abortivo e clinico della RU486, Società editrice Universo, Roma 1999; A. Morresi, E. Roccella, La favola dell'aborto facile. Miti e realtà della pillola RU486, Franco Angeli 2006; C. Cavoni, D. Sacchini, La vera storia della pillola abortiva RU486, Cantagalli, Siena 2008.
[25] P.G. Liverani, Dizionario dell'Antilingua, Edizioni Ares, Milano 1993; Id., La società multicaotica, Edizioni Ares, Milano 2005; M.L. Di Pietro, A. Fiori, Manipolazioni lessicali e semantiche in bioetica, Vita e pensiero, Milano 2001, 123 – 141; T. Scandroglio, «Il decalogo nero dell'ideologia anti-life», in Studi Cattolici, 569/70 (2008), 506-511
[26] Senato della Repubblica, – XI Legislatura, Doc. LI n. 3-bis, Relazione sull'attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e sulla interruzione volontaria della gravidanza (anno 1992), Presentata dal Ministro della Sanità (Garavaglia), comunicata alla Presidenza il 15 aprile 1994, 29.
[27] Pier Giorgio Liverani, nella rubrica “Diario”, curata nel mensile Sì alla vita osserva che la pillola del giorno dopo «è usata per il 55% del totale (370mila nel 2006) dalle giovanissime. Se è vero che nel 20% dei casi la pillola blocca la nidazione, altri 74mila aborti vanno aggiunti ai dati ufficiali, ma il ministro della salute tace», Sì alla vita, 5/2008, 9.
[28] «La carica dei centomila», in Sì alla vita 1/2008, 40-43.
[29] Sul punto si veda l'articolo di Carlo Casini, Possibili cambiamenti della legge sull'aborto oggi in Italia, pubblicato in questa rivista.
[30] Il riferimento è al contributo che il Movimento per la Vita ha offerto all'indagine sull'applicazione della legge 194 effettuata presso la Camera dei Deputati. Il contributo è riportato in Sì alla vita, 1/2006, 36-39.
[31] C. Casini, «L'embrione umano un soggetto. Verso una riforma dell'art. 1 c.c.», suppl. al numero di luglio-agosto 1998 di Sì alla vita.
[32] Movimento per la Vita, Proposta di legge di iniziativa popolare per il riconoscimento della personalità giuridica ad ogni essere umani e conseguente modifica dell'art. 1 del codice civile, in Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 4 del 5 gennaio 1995, p. 6. Le motivazioni più complete della Plip si trovano nel saggio di C. CASINI, «L'embrione umano: un soggetto. Verso una riforma dell'art. 1 c.c.», in Bioetica 2/1996, 336-350.
[33] Atto Camera n. 695, XVI Legislatura, Modifica dell'articolo 1 del codice civile in materia di riconoscimento della capacità giuridica ad ogni essere umano, 5 maggio 2008 (Migliori et al.); Atto Camera n. 363, XVI Legislatura, Modifica dell'articolo 1 del codice civile in materia di riconoscimento della capacitaÌ giuridica ad ogni essere umano, 29 aprile 2008 (Volontè).
[34] PDL n. 493 del 29 aprile 2008, Disciplina dei consultori familiari a tutela e sostegno della famiglia, della maternità, dell'infanzia, e dei giovani in età evolutiva e istituzione dell'Autorità nazionale per le politiche familiari (Capitanio Santolini, Volonté), su
www.camera.it/_dati/leg16/lavori/stampati/pdf/16PDL0002450.pdf [accesso del 30/09/2007]
[35] C. Casini, «Diritti umani: occorre verità», in Avvenire, 3 gennaio 2008, 14; Id., «Il perché di una petizione popolare. Diamo un'anima all'Europa», in Avvenire, 3 luglio 2008, 22; Id., «Occorre contrastare la deriva dell'UE. L'aborto non è un diritto umano. Petizione europea, firmiamo per la vita!», in Avvenire, 4 settembre 2008, 16. Approfondimenti sulla petizione si trovano anche in Sì alla vita del giugno 2008 e del luglio 2008.
[36]«Discorso di Sua Santità Benedetto XVI ai membri del Movimento per la Vita italiano», 12 maggio 2008, pubblicato in Sì alla vita 6/2008, 10-13.
[37] Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium vitae, 25 marzo 1995, n. 95.
[38] Il materiale illustrativo e i moduli per la sottoscrizione, possono essere chiesti al Movimento per la Vita italiano (Lungotevere dei Vallati 2, 00186 Roma; e-mail: mpv@mpv.org; fax: 06-86322953; tel: 06-86321901). Inoltre, il testo della Petizione europea, le ragioni della sua proposta, il materiale illustrativo e le indicazioni necessarie per la sottoscrizione sono recuperabili nel sito oppure consultati e scaricati dal sito www.mpv.org/mpv/download/petizione/petizione.html.