Abstract
Un semplice ciottolo levigato simmetricamente. Un braccio meccanico robotizzato che esegue operazioni chirurgiche precisissime. Le due cose sembrano tra le più distanti ed effettivamente lo sono: nel tempo ma non nel significato. Dietro a entrambe c’è la mano o, meglio, la mente umana. Sono opere della nostra abilità tecnica. La tecnica compare con l’uomo sulla terra e l’uomo si ‘fa riconoscere’ nella paleontologia -fra l’altro- proprio per mezzo di essa, in quanto la tecnica manifesta un pensiero razionale, una capacità progettuale che non si trova nel ripetitivo e istintuale (anche se meraviglioso) mondo degli animali. Ma al di là dell’utilizzo della tecnica, percepiamo come essa stessa abbia un’ambiguità di fondo: la tecnica ci è utile, ci è connaturale, ci affascina ma allo stesso tempo ci spaventa. Con essa dominiamo il mondo, ma essa stessa ci domina: nel momento in cui non ne possiamo fare a meno, ci fa schiavi. È evidente che allo sviluppo tecnico deve sempre accompagnarsi uno sviluppo morale. L’articolo percorrerà dunque le ragioni della tecnica, darà uno sguardo al suo sviluppo fino ad oggi, ne tratteggerà le visioni opposte per arrivare alla condivisione della proposta di José Maria Galvan sulla necessità di una “tecnoetica”