Abstract
I termini eutanasia («buona» morte) ed eubiosia (buona vita) possono essere considerati come emblematici di due culture ovvero due antropologie opposte. Il concetto di eubiosia, riconducibile «all’essere» e non solo al «benessere» dell’uomo, possiede, simultaneamente, una valenza ontologica e una valenza morale. In primo luogo, esso si riferisce alla dignità ontologica della vita umana, dignità che si fonda – come mostra la riflessione scientifica, metafisica e teologica – sul carattere relazionale della persona. In secondo luogo, eubiosia sta a significare il comportamento morale animato dalla regola d’oro – «tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» – e guidato dai principi universali che sono richiesti dalla natura stessa dell’essere umano. I valori eubiosici rendono sempre più buona la vita (moralmente), che è di per sé buona (ontologicamente). Basata su una bioetica personalista della relazionalità, l’eubiosia offre, forse, la migliore risposta teorica e pratica al quesito sul senso della vita, della sofferenza e della morte.